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Da Letta a Monti, dal tecnico-politico al politico-tecnico

Sono stati molto numerosi i tentativi con i quali si è cercato di definire il governo Letta: incipiente compromesso storico?; puro continuismo con il governo Monti o alternativa radicale al governo medesimo?; tradimento degli elettori del Pd e del Pdl o scelta strategica di una linea di pacificazione nazionale dopo i lunghi anni di una cosiddetta “guerra civile fredda”?

Non vi è dubbio che si tratti di affermazioni che andranno comunque sottoposte anche al vaglio dei comportamenti concreti del governo Letta.
Una considerazione di fondo appare peraltro possibile: siamo passati da un governo prevalentemente tecnico con un sostegno politico esclusivamente parlamentare, ad un governo politico che pur tuttavia prevede ministri tecnici in tre settori che sono stati essenziali proprio nell’esperienza del governo Monti: economia, giustizia e lavoro.

Possiamo pertanto dire che si è sostanzialmente passati da un esperimento – quello del governo Monti – per così dire tecnico-politico, a una stagione – quella del governo Letta – che si potrebbe pertanto definire politico-tecnica.
Che non si tratti di uno scioglilingua istituzionale – ma di ben altro – lo dimostra proprio il discorso con il quale il presidente del Consiglio si è presentato oggi in Parlamento per il voto di fiducia previsto per stasera alla Camera e per domani al Senato.

Fatte salve infatti le affermazioni di Enrico Letta strettamente legate a fatti di attualità, e trascurando necessariamente le sue parole per così dire di stile “retorico”, appare molto rilevante l’affermazione del presidente del Consiglio secondo la quale si deve allo stato eccezionale di gravità della situazione economica italiana la sostanziale legittimazione dell’esperimento Monti, così come la necessità altrettanto eccezionale di combinare rigore e sviluppo costituisce oggi la legittimazione politica prima ancora che costituzionale dello stesso governo Letta.

È stata dunque una eccezionalità prevalentemente tecnica quella che diede origine al governo Monti, mentre oggi è stata una decisione più compiutamente fatta propria dal Pd e dal Pdl a rendere possibile la nascita del governo Letta, che pertanto non può e non vuole essere né una pura e semplice continuazione del governo Monti, né un’alternativa radicale al governo Monti medesimo.

Siamo pertanto in presenza di una eccezionalità fortemente centrata nel contesto europeistico contemporaneo a differenza di quel che avvenne in Germania all’indomani della II guerra mondiale con la cosiddetta Grande coalizione.
Ed ancor meno si può parlare di una qualche riproposizione di un “governo di guerra” o di una “sacra unione nazionale”.

Risulta pertanto improprio culturalmente e politicamente definire il governo Letta quale governo di grande coalizione, o governo di pura e semplice sovranità nazionale.
Non si tratta infatti di una grande coalizione per il fatto stesso che il governo non nasce per decisione dei due partiti maggiori, ma in qualche modo per avvenimenti che potremmo definire di stato di necessità.
Non si tratta peraltro neanche di un governo di pura e semplice sovranità nazionale, perché il contesto europeistico è stato all’origine del governo Monti ed è oggi all’origine del governo Letta.

Ed è proprio questo “nuovo baricentro europeo” a costituire in qualche modo la legittimazione storico-culturale prima ancora che politico-istituzionale del nuovo governo.
Il fatto che il Presidente del Consiglio abbia formalmente affermato che occorrerà trovare un punto di equilibrio nuovo tra il processo d’integrazione europea e un contesto politico interno di coesione sociale e di “pacificazione”, costituisce pertanto in qualche modo la legittimazione piena del governo che nasce.

Non siamo dunque alla conclusione di questa vicenda perché sarà soltanto al termine di essa che potremo affermare di passare da una sorta di bipolarismo dei pregiudizi a una moderna matura alternanza di governo.


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