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E se fosse Cameron a salvare l’Europa dalla crisi economica?

Se l’Italia è il grande malato d’Europa, allora quest’Unione europea è il grande malato del mondo. Di ciò sono ormai convinti un po’ tutti, tranne la Germania, che dall’alto del proprio potere economico continua a difendere un esperimento quasi fallito, che rischia di implodere sotto il peso dell’austerità e delle tensioni sociali che alimentano nuovi e pericolosi populismi.

Per questo, il desiderio del primo ministro britannico David Cameron di rimettere mano ai Trattati non suona più una bestemmia, come qualche anno addietro, ma assume giorno dopo giorno i contorni dell’inevitabilità.

La maggior parte degli osservatori è ormai concorde nel definire la moneta unica accoppiata al rigore, i veri pilastri su cui poggia l’Unione, strumenti portatori di disparità e recessione se non applicati a economie con gli stessi fondamentali.

Una verità tristemente compresa in tutto il Sud del continente, ormai entrato in un circolo vizioso di tagli alla spesa pubblica e ai salari, portatori di consumi ridotti e quindi di minore gettito.

A questo si aggiunga che, anche se come noto Londra non aderisce alla moneta unica, al pari di altre economie continentali soffre in modo evidente dei mali indotti dall’eurorigore.

Fermo restando che non tutti i mali italiani ed europei dipendono dall’euro – anzi, sono piuttosto figli in larga parte dei mancati investimenti in competitività e produttività degli scorsi anni – è altrettanto vero che per i singoli Stati uscire da una recessione economica non avendo una leva monetaria o dovendo rispettare lacciuoli ragionieristici come il Fiscal compact è davvero impossibile.

Il sistema messo in piedi da Bruxelles e Berlino proprio non regge e, nel gioco delle parti, Cameron potrebbe stavolta trovare inedite sponde, come quella italiana, intenta a negoziare al pari di Spagna e Francia un alleggerimento dei propri vincoli di bilancio.

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