L’uscita sotto inganno di Valerio Onida, il quale ieri alla Zanzara ha confessato involontariamente l’inutilità della commissione in cui è stato recentemente nominato dal capo dello Stato, non mi stupisce affatto. Anzi, probabilmente depone a favore della giusta cognizione di causa del protagonista, e quindi della sua intelligenza. D’altronde, non mi sembra che la richiesta di dimissioni che taluni gli hanno chiesto abbia molto senso. In realtà, non soltanto i commissari ma tutto il governo è in procinto di dimettersi, perché tutti i membri sono in carica in modo quasi formale.
Si è creata insomma una situazione che è un grande paradosso, in un Paese che affonda da mesi nelle sabbie mobili, con un’economia a pezzi e una logica del lavoro diventata solo quella del volontariato. Sforziamoci, per questo, di rimanere lucidi un momento e di pensare che cosa stia succedendo veramente attorno a noi.
Il Paese ha vissuto dal ’92 fino alle scorse elezioni una situazione scompaginata sotto il dominio di un doppio schema permanente: da un lato, la contrapposizione frontale, e spesse volte fittizia, tra berlusconismo e antiberlusconismo, e, dall’altro, il conflitto tra ordine democratico e ordine istituzionale. Le due cose non hanno conciso sempre tra loro, anche se si sono spesso intrecciate, vedi lo scontro magistratura-politica, restando nondimeno ininterrottamente misura incessante degli accadimenti.
Dopo tutti i sogni di superamento della Prima Repubblica, nessuno ha pensato che la potenza elettorale di Grillo avrebbe determinato un risultato in grado di annullare completamente lo scontro berlusconismo-anti berlusconismo, almeno nel PDL, e cancellare la contrapposizione tra Stato e democrazia. Sì, perché è venuta meno, in modo imprevisto e repentino, la capacità del popolo italiano di esprimersi alle urne in modo gestibile, correa una legge elettorale demenziale, determinando così un’originale variabile assoluta: il disordine democratico. Quest’ultima forma sistemica di disgregazione popolare della sovranità ha reso le istituzioni deboli, impotenti e febbricitanti, anche se perfettamente gestite nella forma legale dal saggio Napolitano. Ecco perché la commissione dei saggi è dimissionata anche se in carica, ed ecco perché a poco valgono le esternazioni di Onida alla pseudo Margherita Hack.
Il problema, insomma, non è la minaccia di una maggioranza guidata da Berlusconi che vuole riformare da destra uno Stato difeso strenuamente dalla sinistra, com’era fino alla scorsa Legislatura, ma la presenza di un turbine di malessere democratico, che agisce in profondità, il quale non riesce a trovare modalità ordinate di sbocco rappresentativo attraverso i soggetti che sono adesso in campo.
Perciò, le notizie di avvicinamento tra Bersani e Monti dell’ultim’ora sono perfino squallide, oltre che insensate, perché non riescono a cogliere con ingegno dove sta veramente il problema. E’ la società che si sta sfaldando, non la politica. Possibile non vederlo? Sono le imprese che muoiono, non le organizzazioni del consenso. D’altronde, vi sono momenti in cui gestire è intelligente e utile. E vi sono momenti in cui è un’idiozia dannosissima. Oggi è semplicemente superfluo, perché il Paese sottostante si sta sbriciolando nelle sue fondamenta e rischia il crollo in ogni momento.
Siamo una preda che fugge dagli speculatori globali mentre alcuni continuano a pensare a completare soltanto il proprio curriculum, consumando i risparmi degli italiani. Ma via! Ci stupiamo pure del disprezzo collettivo che ricevono?
Una politica, d’altronde, non in grado di cambiare se stessa, davanti ad una società che annaspa in modo irrazionale, ha bisogno di politici veri, non di saggi che ambiscono ad anelati e inventati ruoli istituzionali.
E quale può essere, allora, il profilo di questi politici che mancano?
Chiarissimo: devono non solo saper amministrare con destrezza la macchina dello Stato, ma devono riuscire minimamente a intuire cosa vuole la gente, traducendone la volontà sociale in consolidati e determinati obiettivi comuni. Ci vuole tanto?
Da sempre i politici hanno fatto questo. E l’unico che oggi vi somiglia è Matteo Renzi.
Confessiamolo, al là dalle belle parole che si possono spendere su qualcuno, perché quello che voglio dire è ovvio. A Renzi e a Berlusconi in questi giorni va il plauso. Il primo perché è un politico e il secondo perché non smette di esserlo. A Monti e a Bersani, invece, vanno i fischi. Nessuno dei due riesce a capire, infatti, cosa bisogna fare, perché manca loro del tutto una visione del futuro e un senso del presente. Il primo non è un politico e il secondo amministra soltanto la propria identità elettorale in erosione, senza lungimiranza.
D’altronde, chi conserva oggi è sicuro di morire d’impopolarità, danneggiando la democrazia e il paese, mentre chi distrugge, come Grillo, mette in disordine una sovranità priva di politica, senza voler fare realmente assolutamente nulla di nulla. Logicamente, tranne arricchirsi: desiderio individuale unanimemente diffuso in tutti e ovunque.