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Perché Monti e Grilli non pagano i debiti commerciali dello Stato

Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo del condirettore di MF/Milano, Roberto Sommella, apparso sul numero odierno del quotidianoPerchdiretto da Pierluigi Magnaschi.

Lo Stato inteso nel suo insieme ha una contabilità occulta e nemmeno sa a quanto ammonta perché è tutta nascosta negli archivi degli enti locali. È questo il motivo per cui governo e Tesoro procedono con i piedi di piombo nella stesura del decreto legge sul rimborso dei debiti della pubblica amministrazione, che potrebbe vedere la luce tra mille polemiche in un Consiglio dei ministri domani o domenica. L’affermazione, che può sembrare molto forte, perché paragona l’amministrazione pubblica alle aziende che vengono pizzicate dalla Guardia di finanza perché mantengono libri di bilancio paralleli a quelli ufficiali, arriva da un’indiscrezione carpita da MF-Milano Finanza a un autorevole esponente della macchina burocratica pubblica.

L’ammissione chiave che nessun ministro ha il coraggio di pronunciare riguarda la presenza di “debiti fuori bilancio”. Che cosa sono? Tecnicamente, secondo i dettami della Ragioneria generale dello Stato, queste poste si creano quando nel complesso della spesa pubblica annuale, 700 miliardi di euro, non collimano i residui passivi (le spese contabilizzate ma non erogate) e i residui attivi (le entrate accertate e non riscosse che servirebbero appunto a pagare le spese). Che cosa accade quando un’amministrazione, Regione, Comune o Provincia che sia, si fa emettere una fattura da un fornitore e non ha i soldi per pagarla? Spesso viene messa da una parte e non contabilizzata ai fini Istat. Resta quindi parallela, è un impegno di spesa, un pagherò, nei confronti dell’azienda che ha fornito all’ente locale penne, siringhe o benzina, ma che non trova riscontro nei bilanci ufficiali e quindi nelle contabilizzazioni che il ministero dell’Economia fa attraverso i suoi sistemi informativi come il Siope. Ecco perché, spiega sempre la fonte, a fronte di un monte debiti che ormai ha raggiunto 100 miliardi di euro (tanto da far tremare i polsi anche a Bruxelles, che ha chiesto all’esecutivo Monti di rivedere bene il provvedimento per evitare tensioni sul deficit), per ora Vittorio Grilli e il suo staff sono disposti a impegnarsi solo per 40 miliardi di euro. Con buona pace di Confindustria e di Rete Imprese Italia che reclamano invece lo sblocco di entità molto più consistenti rispetto ai 5-7 miliardi di euro previsti per i Comuni e i 14 miliardi appanaggio delle Regioni per i loro debiti sanitari, come ha anticipato ieri milanofinanza.it pubblicando la bozza del testo del decreto legge.

Il motivo di tale prudenza è chiaro: a fronte dell’aumento del debito pubblico, laddove gli enti locali non avessero le somme dovute ai fornitori, il Tesoro dovrà emettere nuovi titoli di Stato: perché farlo per pagare debiti che non compaiono nei bilanci in possesso del Ragioniere Generale, Mario Canzio? Sarebbe un regalo a un sistema che in certi casi ha visto anche collusioni pericolose tra amministrazioni e fornitori (e molte inchieste giudiziarie nella sanità ne hanno dato prova concreta negli ultimi tempi).

Per la verità il fenomeno è stato portato alla luce. Ma una sola volta. In un capitolo del mega rapporto del ministro per i Rapporti col Parlamento, Piero Giarda, sulla spending review vi si legge testualmente: “Il fenomeno dei debiti fuori bilancio (ovvero quelli per i quali non risultano iscritti in bilancio i corrispondenti stanziamenti in termini di competenza) ha avuto un forte incremento a partire dal 2008”. Stime l’esperto di finanza pubblica non ne fa e sarebbe interessante capire se in Via XX Settembre ve ne siano, prima di aumentare un debito pubblico che già così ha raggiunto i 2 mila miliardi di euro e il 130% del Pil.

Ora prova a metterci una pezza il meccanismo di controlli messo in piedi dal decreto legge in gestazione che pretende dalle regioni tutte le pezze d’appoggio contabili prima che lo Stato paghi le sue amministrazioni. Qualcuno sostiene che servirebbe una due diligence sull’intero comparto per evitare che a pagare siano le imprese che vantano un credito mai contabilizzato.


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