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Il governo Letta-Alfano farà faville se il Pd si spaccherà

Con lo scioglimento della riserva, il Governo Letta entra nella fase finale dell’itinerario istituzionale che lo condurrà velocemente davanti a Camera e Senato per ricevere la fiducia di deputati e senatori. Come ha spiegato ieri Giorgio Napolitano la situazione non è speciale, anche se costituisce, però, una novità assoluta. In realtà, se si esclude il gabinetto Andreotti della non sfiducia, alla fine degli anni settanta, è la prima volta che partiti opposti compongono insieme lo stesso Consiglio dei Ministri. E’ rilevante, inoltre, che non vi è tra essi unicamente una qualche adesione alla maggioranza, ma una condivisione piena del potere esecutivo, con un’organica combinazione di dicasteri.

Dal punto di vista politologico, l’espressione utilizzata da Giorgio Napolitano è calzante: una soluzione senza alternativa. In caso di fallimento del presente tentativo, infatti, si finirebbe a elezioni anticipate, le quali, senza una nuova legge elettorale, getterebbero immediatamente l’Italia nella totale ingovernabilità. E’ stata, non da ultimo, questa persuasione ad aprire la strada alla presente “formula di servizio”, la quale rappresenta un armistizio, una chiusura col passato e uno spiraglio per il futuro. Dopo il giuramento di oggi, l’attenzione si sposta subito sulla linea politica che Enrico Letta dovrà presentare lunedì mattina insieme al programma dettagliato che intende realizzare. Eccezionale consistenza avranno i primi passi della coabitazione, perché saranno quelli che imprimeranno il marchio e misureranno l’efficacia reale che il presidente del Consiglio riuscirà ad avere.

Alcuni nodi saranno fondamentali. In primis, l’attuazione dei famosi punti che Berlusconi ha posto come condizioni del suo sostegno, vale a dire l’abolizione dell’IMU, la revisione di Equitalia, la defiscalizzazione, la liberalizzazione dei permessi per le imprese, l’abolizione dei rimborsi elettorali, il presidenzialismo e la riforma della giustizia. Sebbene sia impensabile, anche dallo stesso PDL, una totale soddisfazione, Letta dovrà mediare con intelligenza, rendendo possibile almeno una parziale messa in opera di queste priorità, coniugate con altri temi decisivi indicati dall’opposta compagine di centrosinistra. Specialmente in materia di gestione del lavoro, di tutele sociali, integrazione e politica dell’Università sarà molto importante per il Governo riuscire a interpretare esigenze che evidentemente non sono solo base elettorale del PD, ma rispondono a criteri standard che l’Europa e i soggetti che valutano l’affidabilità dei singoli mercati giudicano primari. Ovviamente, la legittimazione internazionale deve essere tarata con una seria rinegoziazione del patto di stabilità, nelle mani ora di Fabrizio Saccomanni, neoministro dell’Economia.

In definitiva, dopo anni nei quali gli italiani hanno assistito a uno scontro frontale sugli obiettivi da seguire, senza, di fatto, alcun considerevole risultato, ecco che avere una piena apertura di possibilità potrebbe permettere una migliore comprensione dei problemi e un’effettuazione delle soluzioni. In specie, Letta potrà avere due vantaggi rispetto ai predecessori: il primo riguardante la collaborazione degli organi legislativi, ampiamente rappresentati a Palazzo Chigi, e il secondo l’adattabilità delle scelte che potranno concentrarsi solo su quanto serve al Paese, a prescindere che ciò corrisponda o no al centrosinistra o al centrodestra.

Tale indubbio privilegio nasconde, tuttavia, anche un rischio, connesso appunto a una strategia che potrebbe incepparsi e trovarsi imbrigliata in contraddizioni insanabili, capaci velocemente di scardinare l’accordo che lega tra loro le forze di maggioranza, facendo cadere il Governo. Nonostante le evidenti incertezze, si può comunque essere ottimisti. Se, come sembra, vi saranno nel PD cinquanta voti di opposizione, questo avvantaggerà la riuscita pratica dell’impresa. Sarà, infatti, noto da subito il dissenso, e nessuno si aspetterà che l’esecutivo debba rincorrere pretese e reclami impossibili. A ogni buon conto, la partita è rimandata ormai alla presentazione del programma alle Camere, un appuntamento veramente decisivo per il nuovo Governo in carica.


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