All’Italia farebbe bene una scossa dei mercati, che costringerebbe i poltici all’azione. A profetizzarlo è Hugo Dixon (nella foto), fondatore del sito economico Breakingviews.
In un editoriale, in cui esorta la classe dirigente italiana a “fare presto”, il guru della finanza spiega a cosa è dovuta la calma apparente degli investitori e gli scenari nell’elezione del nuovo presidente della Repubblica.
IL TEMPO PERSO
Per il columnist di Breakingviews ciò che fa perdere tempo ai politici italiani, ancora lontani da un accordo per la formazione di un governo per attuare le tanto attese riforme, è l’apparente tranquillità degli investitori.
Lo scenario di oggi è obiettivamente molto differente da quello che nel 2011, per il panico generato da uno spread Btp-Bund altissimo, portò alle dimissioni di Silvio Berlusconi e aprì la strada al governo tecnico di Mario Monti.
LA CALMA APPARENTE DEI MERCATI
Il calo dei rendimenti dei titoli a 10 anni, che venerdì scorso era al 4,3 percento contro il 4,4 percento di poco prima delle elezioni, è attribuibile per Dixon a due fattori.
Prima di tutto, nessuno vuole scommettere contro la Banca centrale europea, che ha promesso di fare tutto il necessario per preservare l’euro.
In secondo luogo, l’impegno della banca centrale giapponese di acquistare enormi quantità di obbligazioni a casa propria, ha sostenuto i prezzi anche altrove, compreso in Italia.
SCENARI E INSIDIE DEL DOPO-NAPOLITANO
L’elezione del nuovo Capo dello Stato potrebbe essere risolutiva nello sbloccare la fase di stallo, pur con qualche trappola in agguato.
Per Dixon, pur avendo i voti necessari a eleggere un presidente della Repubblica in autonomia (Romano Prodi, per esempio), i democratici non percorreranno questa strada. Ciò spingerebbe a una rottura con il Popolo della Libertà; uno scenario che Pierluigi Bersani vuole scongiurare, perché sancirebbe un ritorno alle urne che lo vedrebbe definitivamente fuori dai giochi.
Davanti alla scelta del nuovo Capo dello Stato rimangono pertanto aperti due scenari. Uno è quello in cui il Partito Democratico voti un candidato non apertamente ostile a Silvio Berlusconi – Giuliano Amato ad esempio – aprendo la via a un governo di minoranza a guida Pd che il Pdl dovrebbe tacitamente sostenere.
L’altra possibilità è la scelta di un Capo dello Stato condiviso dai due blocchi (nelle scorse ore si è fatto il nome di Franco Marini, non gradito però a tutti i democratici), che in prospettiva porterebbe a un cosiddetto “governo del presidente”, che cercherebbe di convincere i democratici e Berlusconi a rientrare nei ranghi e collaborare.
L’alternativa per il centrodestra sarebbero le elezioni; un’ipotesi che pare vantaggiosa visto il leggero vantaggio che pare avere negli ultimi sondaggi, ma che potrebbe facilmente evaporare se i democratici -con molti problemi e sull’orlo della scissione – dovessero schierare un nuovo candidato come Matteo Renzi.