Margaret Thatcher è morta. Con lei se ne va un importante pezzo di storia del Novecento, scompare una statista innovatrice che è stata capace di cambiare la cultura politica del mondo occidentale. Delle idee della Lady di ferro pochissimi hanno osato parlare bene; moltissimi le hanno adottate. Vuol dire che il tempo è stato galantuomo con questa signora della piccola borghesia di provincia, ritenuta assai scomoda dai colleghi inclini al compromesso (tanto che si diceva che quel partito conservava ciò che avevano fatto i laburisti) e per anni dipinta, a sinistra, come l’esempio vivente della reazione in agguato. Il fatto è che non c’è stato soltanto Tony Blair a fare tesoro dei cambiamenti introdotti dai tre lustri di politica. A pensarci bene, la lezione di Margaret Thatcher ha maggiormente contribuito, seppur indirettamente, a cambiare la cultura della sinistra.
Le politiche economiche
La signora Thatcher, con grande fatica (solo dopo il prestigio acquisito con la guerra delle Falkland fu in grado di avere mano libera in Patria) iniziò a smontare, pezzo dopo pezzo, una economia – come quella del Regno Unito – cronicamente malata di statalismo, inquinata dal più esteso processo di nazionalizzazioni, mai realizzato al di qua del Muro di Berlino; così riuscì ad affermare, in via di principio, che lo Stato non deve sostituirsi ai privati, negli stessi anni in cui, da noi, – tanto per fare degli esempi – si erogavano ancora i fondi di dotazione agli enti delle partecipazioni statali, il settore del credito era in mano pubblica e si rifaceva una legge per l’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Ma l’azione della signora Thatcher non va ricordata solo per questi aspetti. Le riforme in materia di sanità assunte dai governi conservatori (la separazione tra soggetti finanziatori, produttori e utilizzatori; l’introduzione di esperienze e prassi contrattuali/competitive, nella logica dei “mercati interni”; la valutazione del rapporto costo-efficacia, mediante la diffusione delle responsabilità di budget) hanno fatto scuola in tutta Europa; soprattutto laddove – come in Italia – esisteva una struttura di Servizio sanitario nazionale.
Le politiche del lavoro
Sul versante del mercato del lavoro è sufficiente prendere nota dei risultati di politiche (portate avanti Oltremanica) ispirate all’eliminazione di vincoli soffocanti e alla riconversione delle misure assistenziali per la disoccupazione in provvedimenti promozionali di attività lavorative. Una impostazione, questa, che Tony Blair volle ulteriormente rafforzare nella convinzione che lunghi periodi di assistenzialismo deprimano la capacità della persona di provvedere a sé e alla propria famiglia.
I risultati del welfare state
Queste politiche non hanno affatto diminuito, in Gran Bretagna, il grado di protezione dei cittadini, né smantellato il welfare state. Il livello di spesa pubblica è più o meno quello di trent’anni or sono. Solo che, nel 1979, alle voci sanità, pensioni, educazione andava meno della metà delle uscite totali; ora viene destinato il 61 per cento.
Il fisco
Intanto, la pressione fiscale è pari al 35,5 per cento; in Italia al 44 e in Germania al 45 per cento). All’inizio dell’era Thatcher l’aliquota massima sulle persone fisiche raggiungeva l’83 per cento, anni dopo si era dimezzata al 40; quella minima era passata dal 33 al 23 per cento. L’aliquota complessiva sui redditi delle società di capitali (dal 1980 al 1996) era scesa, nel Regno Unito, dal 52 al 33 per cento, mentre in Italia era salita dal 36 al 53. Si tratta di misure che hanno prodotto i loro effetti nel tempo.
Il ridimensionamento dei sindacati
Ma il successo più importante della Lady di ferro è stato conseguito nel ridimensionamento del potere delle Trade Unions attraverso i tre Statutes in materia: l’Employment Act del 1980, quello del 1982 e il Trade Union Act del 1984. I primi due provvedimenti costituivano la fase di transizione verso il nuovo diritto sindacale definito nel terzo, i cui obiettivi miravano alla protezione della sfera dei diritti del singolo lavoratore nei confronti dei poteri dell’apparato sindacale e delle clausole di union security che imponevano, in pratica, l’adesione al sindacato per aver accesso al lavoro e all’applicazione dei contratti.
Confronto Italia-Inghilterra
Sarebbe ingeneroso paragonare il sindacalismo confederale di casa nostra a quello inglese, il cui predominio (che i Governi laburisti si guardavano bene dal mettere in discussione, essendone veri e propri ostaggi politici) aveva ingessato la società e l’economia. Anche in Italia, però, la componente sindacale – leggi la Cgil – è quella più sensibile alle vecchie culture, per il semplice fatto che non è stata in grado di liberarsi di una rappresentanza sociale prigioniera dei settori tradizionali del mondo del lavoro. La nevrosi della Sinistra italiana si rivela, dunque, nella contraddizione tra l’idea che essa ha di sé (Bersani continua a rivendicare un “governo di cambiamento”, quando risulta evidente che le sue proposte marciano in direzione della più ottusa conservazione) e l’effettiva identità che riesce ad esprimere mediante i concreti comportamenti.
Caro Pd
Fino a quando i democrats di casa nostra non capiranno (e riconosceranno) che i più accaniti avversari della modernizzazione non stanno di fronte, ma alle loro spalle, ben poco di nuovo verrà costruito. Neppure oggi – nonostante la caduta dei Muri, il travestimento sotto mentite spoglie, le abiure e le rimozioni, le provvidenziali amnesie sulla propria identità – esiste in Italia una forza di sinistra disposta a scrivere due parole magiche come merito e bisogni nel proprio programma e ad agire di conseguenza. La sinistra in Italia non ha conosciuto la rivoluzione blairiana, perché in Italia purtroppo non c’è mai stata la signora Thatcher ad aprire la strada.
Berlusconi non è mai stato un vero Signore di Ferro
Silvio Berlusconi, per quanti sforzi abbia fatto, non è mai riuscito ad esprimere in Italia una capacità d’innovazione simile a quella thatcheriana. Matteo Renzi deve dimostrare – se mai riuscirà a guadagnarsi un “posto al sole” – di essere all’altezza di Tony Blair. Ma è inutile ragionare di personalità che anche nello stile non hanno imitatori. Margaret Thatcher ricevette la notizia della sconfitta nel referendum in materia fiscale mentre era impegnata, in Francia, in un vertice di capi di Stato e di governo dell’Unione europea. Le cronache raccontano che, dopo la cena di gala, un galante Francois Mitterrand la invitò a ballare e, tra un giro di valzer e l’altro, le chiese quali fossero le sue intenzioni. Al che la Lady di ferro rispose: “No. E’ finita”. Rientrata in patria, di lì a poco passò la mano.