Il nome di Margareth Thatcher, insieme con quello di Ronald Reagan, è diventato da molti anni l’icona del conservatorismo liberale. Per questo, più dei singoli atti compiuti e delle battaglie tenaci, è essenziale comprendere il valore dell’apporto originale che la Lady di Ferro ha diffuso nella destra europea. Primo fra tutti, l’adozione di un modello di società che assume totalmente i presupposti radicalmente individualisti della classica tradizione britannica. Ne è prova la giovanile battaglia a favore della depenalizzazione dell’omosessualità e dell’aborto, che la videro lottare in minoranza perfino nel suo partito. Fu in tale occasione che la Thatcher aderì idealmente e mise in pratica concretamente le idee filosofiche di Thomas Hobbes – famoso pensatore inglese del XVI secolo – basate su una concezione egoista e autoritaria dello Stato.
Assunta la guida del partito, si oppose con forza alla linea sociale dei laburisti, coniugando l’anticomunismo atlantico alla convinzione che ogni estensione delle prerogative di Governo, al di fuori dello stretto ambito necessario all’ordine e alla libertà, fosse dannosa alla nazione e indebolisse lo Stato. E’ su questa base che la politica thatcheriana diventerà rapidamente il simbolo del liberismo economico aggressivo degli anni ’80, in grado di difendere militarmente e con successo all’estero la sovranità inglese delle isole Falkland con la stessa fermezza con cui può lottare all’interno gli scioperi sindacali illegali.
Paragonando la sua politica ai paralleli movimenti conservatori europei, si notano pertanto dei punti di contatto robusti. In particolare, l’idea di una funzione del potere pubblico a difesa e tutela del privato, in conformità a quel modello di “Stato ultra-minimo” anti socialista che il filosofo americano Robert Nozick ha definito “assicurativo”, ossia circoscritto unicamente a preservare gli interessi e le prerogative dirette dei cittadini. Per altro verso, la Thatcher ha abbandonato, invece, la tradizione continentale della “Big society”, in parte ripresa da David Cameron, basata sul valore di un ordine comunitario, originariamente ricco e articolato, che per natura va oltre la nuda singolarità della persona. E’ una differenza, tuttavia, che non va esagerata. La parte sociale della politica thatcheriana è un presupposto sotteso nella fiducia data alla capacità del sistema di autoregolarsi. Un limite ideologico certo che, però, si può riconoscere facilmente soltanto oggi, nel fatto che la politica si è resta indispensabile a causa di un relativismo che erode dall’interno i legami sociali rendendo disomogenea e improduttiva la società.
In ogni caso, l’eredità della Thatcher oltrepassa queste valutazioni, avendo saputo raccogliere, attorno alla sua personalità, per oltre un decennio, le aspirazioni e i sogni di benessere di un mondo non ancora globale ma in grado di trasformarsi.