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Maroni a Pontida ha tracciato la nuova agenda della Lega: meno folclore, più amministrazione

Il raduno di Pontida di oggi voluto da Roberto Maroni, dopo un anno di assenza legata alla storica riorganizzazione del Carroccio con il superamento della epopea bossiana, sconta un doppio registro: il primo, prevalente e immediato, interno, volto a canalizzare il residualismo del Senatur proprio nel terreno di gioco del ritualismo a lui congeniale; il secondo più di prospettiva certifica la mutazione di un paradigma tematico molto significativo nella natura politica del movimento guidato adesso da Maroni.

In qualche modo c’era da aspettarselo. Sul fronte interno il duello Maroni-Bossi culminato in, a dire il vero, sparuti momenti di tensione è ancora saldamente appannaggio dell’ex ministro degli Interni. Da questo punto di vista il segretario Federale con l’appuntamento odierno ha sigillato la sua segreteria enfatizzandone la continuità rispetto alle origini del movimento. Ha rievocato il pratone di Pontida sottraendolo così in modo plastico alla storica primogeniture della vecchia leadership bossiana. Maroni ha “messo la faccia” dal palco di Pontida proprio per appropriarsi di un nume fondativo che pure lo aveva sempre visto attore secondario, ma lo ha fatto cambiandone in maniera sostanziale i connotati e il significato.

Dal simbolismo magico e trascendente, dal rito di tipo messianico, il neo governatore ha inteso lasciare solo qualche richiamo lessicale e per il resto ha rovesciato completamente l’assioma, mettendo al centro del l’identità leghista, il Nord come comunità territoriale e di interessi. “Prima il Nord” è infatti lo slogan che lancia la Lega verso il modello tradizionale delle grandi forze autonomiste del centro e nord Europa, imprenditori politici e amministrativi rappresentativi di macro aree centrali a livello materiale ma non politico come Baviera e Catalogna.

Questo ribaltamento di modello si salda perfettamente con la nuova agenda politica di Maroni. Ed è questo il secondo registro che trova conferma da Pontida. Nelle fasi di massima insorgenza la Lega fondava la propria legittimazione su 3 issues di cui in ordine: la protesta antistatalista, la protesta antipartitica, la protesta anticentralista. Rispetto alle origini e sino al suo ingresso come forza di governo e quindi pienamente “di sistema”, tuttavia questi tre filoni di protesta, insieme riconducibili nella matrice “antisistemica”, hanno via via perso molto della loro carica originale in quanto, seppure Bossi e i suoi abbiano sempre puntato a fungere come partita di lotta sul territorio, è apparso evidente come fosse infine difficile per una formazione ormai istituzionalizzata a tutti gli effetti continuare a rappresentare istanze anti-sistema e antipartitocratiche in particolare.

Non a caso difatti oggi la Lega viene surclassata da Grillo in quello che è stato il suo terreno, ed è facile osservare come lo slogan “annientare i partiti” sia stata in passato una delle parole d’ordine principali della prosopopea leghista. Maroni, consapevole della sopravvenuta residualità della venatura anti sistema, ha inteso nell’annuale appuntamento di Pontida consolidare il nuovo “core” anticentralista. Oltre alle istanza classiche e tradizionali di federalismo amministrativo, in un periodo di opposizione e di sfiducia diffusa verso l’esecutivo e la sua politica economica, per ringalluzzire i propri militanti e salvaguardare la propria roccaforte di consenso, ecco allora il passaggio obbligato dell’estremizzazione dell’anticentralismo, in termini soprattutto di nuova macro regione amministrativa.

L’enfasi sullo sforamento del patto di stabilità con l’ultimatum del 31 dicembre è allo stesso tempo specchio e fattore del new deal leghista a guida Maroni. Questa bussola che si staglia nel complesso delle tensioni anticentraliste, costituisce più di tutte le altre l’argomentazione d’avanguardia del differenziale politico che il Carroccio intende incassare nel suo nuovo perimetro della “Macroregione”. Uno strumento che in passato ha anche consentito una certa forza di penetrazione verso quella comunità di piccoli imprenditori, di autonomi e di artigiani. Insistendo, infatti, sulla percezione di pervasività del sistema tributario centralista dello” Stato” di Roma, si è da sempre contestualmente reclamata una soluzione di “rupture” in grado di servire l’esigenza e la necessità di autonomia fiscale e contabile del Nord.

L’impegno del Carroccio sulla questione della gestione della leva erariale centro/periferia ritorna quindi di pari passo, una volta che il contesto e il tessuto politico generale fa presagire un dirompente scollamento economico, con quello che a inizio anni Novanta fu la vulgata di Miglio, ovvero un paradigma elaborato su di un canone principalmente pragmatico amministrativo. Si badi bene, anche questa volta appare improbabile che il Carroccio oltrepassi il confine dell’illegalità, mettendo in atto le rivendicazioni più estreme; più realisticamente la Lega con ciò intende marcare il proprio differenziale rispetto ai suo competitor più prossimi (Grillo ma anche il Pdl) e non disperdere il patrimonio di voto di protesta che storicamente le appartiene.

Riverberare quindi la propria azione politica, tenere in mobilitazione la base dei militanti, innalzare il livello di guardia e sensibilizzazione presso la macrocomunità dei piccoli e medi produttori del Nordest in una fase di forte lacerazione del tessuto economico produttivo. Questo quindi il sentiero tracciato da Maroni dal prato di Pontida. A dispetto dei nostalgici del folklore Bossiano.

Filippo Salone

(autore del saggio “Il fenomeno leghista, perché nasce, perché si afferma”, Rubettino, 2009)


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