Se qualcuno nutriva ancora dei dubbi sulla chiarezza d’idee di Papa Francesco, sicuramente li ha visti dissolversi come neve al sole ascoltando l’Omelia di ieri per l’insediamento sulla Cathedra romana. Nel contesto solenne e suggestivo della Basilica di San Giovanni in Laterano, luogo antico e profondamente intriso di tradizione, Jorge Mario Bergoglio ha esposto in modo sintetico i grandi temi che saranno al centro del suo pontificato. Di fatto, ha ripreso in modo compatto spunti che erano già stati messi in luce alla Messa d’insediamento e in successive occasioni pubbliche.
In primo luogo, su sollecitazione della liturgia prevista, il tema della divina misericordia, un concetto teologico complesso che richiama non soltanto un attributo sostanziale del Dio cristiano, ma una prerogativa assolutamente centrale della teologia morale e della pratica umana di vita.
La misericordia è quell’atto attraverso cui Dio mostra il suo volto concreto, ossia l’amore che libera l’uomo da ogni incredulità. Non a caso, l’apostolo Tommaso diviene l’emblema di questa virtù, una fragilità naturale sempre tormentata dalla debolezza dell’animo, ma sempre curata da Dio ed emendata con la grazia della verità.
Papa Francesco ha, nello specifico, evidenziato come il riconoscimento della povertà di spirito abbia permesso anche all’apostolo Pietro, rappresentazione permanente della Chiesa, di ricevere lo sguardo d’amore di Gesù che è comprensivo e tenero verso la fragilità di ogni uomo. Ancora una volta, l’unità di misura è divina e lo stile adottato non è la vendetta o l’esibizione feroce e tracotante del potere, ma la misericordia e la delicatezza di un Dio povero che patisce nel tempo e innalza il mondo all’eternità.
Il Papa ha rievocato, in aggiunta, altri due episodi emblematici del corretto approccio evangelico. Il primo è l’apparizione a Emmaus, in cui Gesù non abbandona, ma “percorre insieme con gli apostoli la strada e con pazienza spiega le Scritture che si riferivano a Lui, fermandosi a condividere con loro il pasto”. Il secondo è l’invito a Tommaso a toccare con mano la verità per sciogliere i dubbi che lo assalgono.
Esempi dissimili che esprimono la vera prestanza dell’uomo che è la consapevolezza della sua intrinseca debolezza, la contingenza del prestito di energie che possiede, la quale può far difetto in ogni momento. Solo l’umiltà di spirito tipicamente cristiana apre la possibilità a Dio di manifestare la sua misericordia soprannaturale nell’intimità del cuore.
Si tratta di nessi sapienziali importantissimi, essenziali anche per capire l’atteggiamento di governo che Francesco adotterà nei prossimi mesi, davanti ai problemi della Chiesa che ben conosciamo. L’unica spada impiegabile da un Pontefice, d’altronde, è la fermezza di attendere la conversione dei fedeli, non certo la punizione crudele. L’unico modo per riformare la Chiesa è attraverso la misericordia e la carità, non certo la spietatezza e la cattiveria. La via segnata è la comprensione delle altrui debolezze e il dono dell’amore che affranca e salva l’umanità, non le sanzioni implacabili e il terrore.
Ecco perché Gregorio Magno, maestro di spiritualità e di comando, amava dire che la regola da seguire per governare con prudenza e capacità una comunità è senza dubbio l’equilibrio e la prudenza, vale a dire la compensazione dell’insufficienza individuale con la sovrabbondanza e dell’eccesso sociale con la sobrietà. Una linea di equità che, a ben vedere, ha implicazioni etiche fondamentali anche fuori dalla Chiesa, nella politica, nell’economia, nella vita quotidiana di ciascuno. Dio, infatti, non è soltanto un essere in sé che se ne sta distaccato da tutto e pretende tutto, ma una sorgente d’amore che esce da sé, dandosi agli altri per salvare gratuitamente il genere umano dalla colpa del peccato e dalla tristezza che distrugge. Un Dio, come amava dire Benedetto XVI, che è vicino perché soffre, perché resta perpetuamente rivolto all’esterno sulla Croce, affacciato sul destino e sulla libertà personale dell’intera umanità.