Skip to main content

Amici del Pdl, votiamo Prodi al Colle?

Se per avventura dipendesse da me, vorrei che il prossimo inquilino del Colle più alto fosse eletto, già alla prima votazione, con una maggioranza schiacciante (e vorrei anche che – diversamente da Laura Boldrini – nella reggia del Quirinale ci andasse ad abitare, portandosi appresso pure il gatto di casa). Tuttavia, se mi si chiedesse di fare una previsione e magari anche di scommettere, mi azzarderei a fare il nome di Romano Prodi.

So che il nostro è considerato un “nemico” di Silvio Berlusconi e che il Pdl giudicherebbe questa prospettiva come la peggiore. A mio avviso, però, il Cavaliere e i suoi sbagliano di grosso, perché, nell’attuale contesto politico, le cose potrebbero assumere una piega ancor più negativa, non solo per il centro destra, ma per un ordinato vivere civile già tanto compromesso. A mio parere, il Pdl (che pure non ha esitato a prenderne le distanze con grande dignità) sottovaluta la capacità di manovra del M5S e la lucidità con cui Grillo porta avanti il suo progetto di sfascio delle istituzioni. Soprattutto, il Pdl non riesce a capacitarsi, e quindi a comprendere, l’effetto perverso che l’azione e le iniziative dei “grillini” producono all’interno del Pd. Tra il militante democrat e quello del M5S vi è lo stesso rapporto esistente tra il compassato dr. Jeckill e Mister Hyde. Sono la stessa persona: ma il secondo si prende quelle libertà che le convenzioni sociali proibiscono al primo. Nel nostro caso, però, Jeckill prova un enorme senso d’invidia per Hyde. Ed è convinto che abbia ragione. C’è da aspettarsi allora che i profili e le caratteristiche dei candidati che scaturiranno dal web riescano a parlare alla pancia dei gruppi del Pd, nutriti a lungo dell’odio verso il Cavaliere ed abituati a considerare come dei “libertadores” i più fanatici mozzorecchi e i più perniciosi giustizialisti forcaioli.

Grillo entrerà in gioco con una precisa strategia: arrivare senza nulla di fatto alla quarta votazione, ben sapendo che gli altri partiti potranno fare a meno di lui se troveranno un’intesa nelle prime tre votazioni in cui è richiesta una maggioranza qualificata. Alla quarta sarà tardi: in tanti nel Pd saranno tentati di far convergere i loro voti insieme a quelli dei “grillini”. A quel punto, solo l’emergere (improbabile?) di un consistente gruppo di “franchi tiratori” all’interno del Pd, potrà impedire che, nel voto per il Capo dello Stato, si saldi l’asse sinistra-M5S, sulla base della quale venga eletto un presidente che mandi Pier Luigi Bersani alle Camere, senza una maggioranza precostituita, ma fiducioso di poter contare su di una grande operazione trasformista in grado di raccattare voti un po’ dappertutto, in particolare nel gruppo M5S al Senato.

Se questo dovesse essere lo scenario che si presenta ai grandi elettori alla quarta votazione, auguriamoci che la Provvidenza aiuti il nostro povero Paese. E che in campo, a quel punto, ci sia almeno Romano Prodi, il quale avrà pure “toppato” per le considerazioni che ha svolto in morte di Margaret Thatcher, ma che è stato premier di un governo riformista (mi riferisco al primo esecutivo da lui presieduto), ha diretto la Commissione europea ai tempi dell’entrata nel club dell’euro e dell’allargamento della Comunità.

Ovviamente, mi aspetto che gli amici del Pdl manifestino più di una controindicazione. Ad essi però rivolgerei una domanda: come la metteremmo tutti quanti se all’appuntamento con la quarta votazione – dopo che le prime tre avessero messo in evidenza che le larghe intese sono impossibili e che Bersani ha continuato a perseguire il suo piano – risultasse in buona posizione Stefano Rodotà e sul suo nome finissero per convergere la sinistra e il M5S; o se, peggio ancora, il ‘’nuovo che avanza’’ andasse a pescare nel “celodurismo giustizialista” (Gustavo Zagrebelsky, per esempio)? E’ presto dimostrato che, anche per la elezione del Presidente della Repubblica, non c’è limite al peggio con i tempi che corrono. Guai se un giorno non lontano, fuggendo per il mondo alla ricerca di un Paese che non abbia il vincolo dell’estradizione per sottrarsi ad un mandato di cattura votato da Palazzo Madama, Silvio Berlusconi non sia indotto a chiedersi se con Prodi al Quirinale (anziché la “barba finta” uscita dalle urne al suo posto) sarebbe mai scattato l’ordine della ‘’soluzione finale’’ nei suoi confronti.


×

Iscriviti alla newsletter