Predicare bene all’estero, razzolare male in patria. Pare essere questo l’andazzo dell’esecutivo cristiano-liberale della signora Merkel, impegnato da ormai tre anni a esportare la ricetta dell’austerità in giro per l’Europa, senza però applicare a se stessa i medesimi rigidi criteri. L’accusa viene, oltre che dall’opposizione rosso-verde, dall’establishment economico tedesco, da tempo irritato per via dell’imprevedibilità dell’ars regnandi merkeliana.
In una intervista al quotidiano Die Welt, il capo dell’unione delle confederazioni dei datori di lavoro (BGA), Dieter Hundt, si è cimentato in una descrizione impietosa dei magri risultati raggiunti dal gabinetto della Cancelliera, denunciando in particolare il progressivo slittamento verso sinistra della democrazia cristiana tedesca, impegnata ora a discutere di salari minimi, nuovi sussidi sociali e tetti agli stipendi dei manager. Dell’epocale riforma del fisco, promessa in campagna elettorale non è rimasto nulla, ha polemizzato Hundt, che, facendo eco ai liberali, è tornato ad invocare l’eliminazione del Solidaritätszuschlag, un’addizionale all’imposta sulle persone giuridiche finalizzata a sostenere i costi della riunificazione, e ha messo in guardia un eventuale governo socialdemocratico dall’introduzione di un’imposta patrimoniale.
Gli anatemi lanciati da Hundt non devono essere piaciuti al Ministro dell’Economia, Philipp Rösler, leader di un partito, l’FDP, da sempre vicina agli interessi dell’impresa. In un rapporto pubblicato ieri, il ministro ha diramato le cifre a suo dire rivelatrici di un forte sgravio fiscale avvenuto a partire dall’inizio della legislatura. Stando al rapporto, definito dall’opposizione niente più che un opuscolo da campagna elettorale, la coalizione cristiano-liberale avrebbe ridotto sensibilmente il peso del fisco sui cittadini, allo stesso tempo senza trascurare l’opera di risanamento di bilancio. Se si sommano tutti gli sgravi si arriva ad un totale di circa 29 miliardi, cui però vanno sottratti gli altrettanto sensibili aumenti di pressione fiscale. Per Rösler, insomma, si arriverebbe comunque ad uno sgravio complessivo di circa 17 miliardi.
Numeri che fanno arricciare il naso, quantomeno perché la Federazione, grazie all’eurocrisi, avrebbe risparmiato in questi anni circa 28 miliardi di oneri sul debito pubblico, un aiuto non da poco che ha lasciato discreti margini alla politica fiscale. Senza contare che, come ricordano in uno studio congiunto l’istituto di ricerca economica di Kiel (IfW) e il quotidiano Handelsblatt, molti sono gli aumenti nascosti della pressione fiscale non segnalati nel documento del Ministro, primo fra tutti quello derivante dal fiscal drag. Di una riforma organica del sistema fiscale come propagandata dall’FDP in campagna elettorale non vi è stata invece traccia.
Anche sul fronte della riduzione della spesa, se si eccettuano i risparmi derivanti da quella per interessi, poco sembra essere stato fatto. Anzi, l’introduzione del Betreuungsgeld, il sussidio per i genitori che intendano allevare i propri figli in casa, pare segnalare un’inversione di tendenza o quantomeno un rallentamento del percorso di consolidamento. Così come rappresenta un’inversione di tendenza, almeno rispetto all’Italia, la proposta del presidente del Bundestag di agganciare gli stipendi dei parlamentari a quelli dei giudici federali entro la fine della legislatura.
Ciò avrebbe come conseguenza un aumento di stipendi ed indennità nell’ordine di almeno quattrocento euro al mese. Infine, i sussidi e le sovvenzioni erogate a vario titolo. Nel 2011, sempre secondo calcoli dell’istituto IfW, ammontavano a circa 166 miliardi, quasi 20 miliardi in più rispetto al 2000. In questa legislatura, nonostante le promesse per una loro drastica riduzione, nessuna legge federale se ne è occupata.