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Ecco la riforma elettorale che serve all’Italia

Grazie all’autorizzazione dell’editore, pubblichiamo l’articolo di Franco Adriano apparso sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.

Tornare al mattarellum. Perfino Beppe Grillo vorrebbe farlo subito in Parlamento (anche senza il nuovo governo) per cancellare dalla faccia della terra l’odiato (?) porcellum. Arturo Parisi (con Romano Prodi e Walter Veltroni) avrebbe voluto tornare al sistema elettorale preesistente, ossia lo stesso mattarellum, mediante referendum perché i partiti non l’avrebbero mai fatto (è vero) e perciò raccolsero un milione e 200mila firme. Già, ma il 24 ed il 25 febbraio, con il sistema ideato dal cattolico democratico Sergio Mattarella (75% dei seggi col maggioritario a turno unico e il 25% con il sistema proporzionale e sbarramento del 4%) che sarebbe successo? L’Italia sarebbe ugualmente alla disperata ricerca di un governo impossibile? O andrebbe tutto che è una meraviglia?

Niente maggioranza alla Camera

Considerato l’entusiasmo che c’è in giro, è bene sgomberare subito il campo dalle illusioni: con il mattarellum ai fini della formazione di un governo l’Italia si troverebbe in condizioni ancora peggiori che con il porcellum. E dimostrarlo è semplice. L’ha fatto l’Istituto di studi politici Vilfredo Pareto di Bruno Poggi. Certo, non ci sarebbero state le liste bloccate e forse si sarebbe realizzato un maggiore legame tra eletto ed elettore. Ma senza l’esagerato premio di maggioranza che il porcellum assegna alla camera, non solo non ci sarebbe una maggioranza al senato, ma non ci sarebbe alcuna possibilità di votare la fiducia ad un governo nemmeno a Montecitorio. Con un quadro politico tripolare (più la Lista civica di Mario Monti intorno al 10%) il mattarellum, con il quale si è votato nel ’94, ’96 e 2001, sarebbe altrettanto impazzito.

I seggi con il mattarellum

I Numeri. Oggi, alla camera, con il mattarellum Pd-Sel avrebbero 261 deputati, Pdl-Lega 233, M5S 120, Monti 15 e per raggiungere quota 630 deputati resta un solo seggio da assegnare ad una delle liste minori. E non si favoleggi sul mattarellum a doppio turno perché sempre secondo lo studio dell’Istituto Vilfredo Pareto a Montecitorio la situazione tripolare (anzi quasi quadripolare) sarebbe rappresentata con ancora maggiore precisione: la coalizione del Pd avrebbe 226 deputati, quella del Pdl 195, M5S 193 e 15 Monti. “Il punto è che con tre partiti non viene mai fuori una maggioranza di governo”, spiega Poggi, “ragione per la quale occorrerebbe seriamente ragionare sul semipresidenzialismo francese”, o più precisamente sull’elezione diretta del sindaco d’Italia mutuando il sistema elettorale che viene utilizzato ormai da anni con successo nelle città.

Il voto alla francese

Proprio in Francia c’è l’esemplificazione dell’impasse italiana. “François Hollande ha ottenuto il 28% dei voti, Nicolas Sarkozy il 26% e Marine Le Pen il 20%”, spiega il direttore dell’Istituto Vilfredo Pareto, “se fossero consensi dati ai partiti anziché a candidati presidenti, il governo non sarebbe mai venuto fuori proprio come in Italia”. Ecco, perché, ci vuole l’elezione diretta sul modello della legge per le amministrative. Certo, c’è lo scoglio della modifica costituzionale all’articolo 92 con le previste quattro letture alla camera e al senato e la maggioranza di due terzi. Ma se si vuole si fa. Basti pensare che in tempi brevissimi si è introdotto nella Costituzione, durante il governo dei tecnici, il Fiscal compact perché imposto dalla Ue. L’Italia, insomma, si trova “come la Francia nel 1958 nella fase di passaggio tra la quarta e la quinta repubblica per la quale occorre dare vita ad un patto costituente”. Diversamente, non se ne esce.

Il rischio di governi dalla vita breve

A meno che si voglia tornare al 1994 quando Silvio Berlusconi ottenne 7 punti percentuali in più rispetto al centro-sinistra di Achille Occhetto (40% contro il 32,9 del centrosinistra) e conquistò appena 155 seggi al Senato (3 in meno della soglia di maggioranza relativa, fissata a quota 158). Quella volta il governo durò sette mesi. Oppure al 1996 quando la coalizione di centrosinistra di Romano Prodi (44,8% di voti, oltre 4 punti di vantaggio sul Polo per le libertà) ottenne solo tre seggi in più della soglia di maggioranza fissata alla Camera a quota 316. Anche in quel caso andò a finire male.


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