L’articolo di Massimo Brambilla ha il merito indiscutibile di mettere il dito nella piaga e di centrare perfettamente il nodo problematico più profondo che ha definito e definisce la storia italiana di questi ultimi vent’anni. A me piace chiamarla, sulla falsa riga del suo ragionamento, con l’appellativo di guerra civile perché non si è trattato di uno scontro contingente d’interessi, anche profondi magari, ma di una distinzione originaria tra due modalità d’intendere il rapporto tra democrazia e repubblica.
Semplifico al massimo. Nella prima Repubblica, termine insensato ma utile a capirsi, ossia nel periodo che va dal ’48 al ’92, non abbiamo avuto la celebrazione dell’identità totale tra democrazia e Repubblica attorno alla legittimità sovrana della nostra Carta costituzionale. Di fatto, però, la nostra legge fondamentale non è né una legge, né una cornice istituzionale, ma un patto costituente. Che cosa vuol dire questa espressione?
Vuol dire che si è creato nella Costituzione un sistema di controllo della democrazia attraverso l’accordo tra culture diverse e avverse al Fascismo con l’obiettivo di catalizzare e vincolare il consenso al sistema dei partiti. Situazione internazionale e ideologie contrapposte hanno fatto il resto.
In realtà già dentro questo patto costituzionale si è alimentata la rottura tra democrazia e Repubblica. Dentro le correnti Dd. Nei tentativi riformatori di Fanfani e Craxi. In interessi che hanno fatto leva sul consenso per orientare la vita politica italiana fuori dallo schema della Guerra Fredda.
Dal 1994 in poi, grazie Mani Pulite, la sinistra ha puntato a egemonizzare, attraverso la magistratura, l’ideologia repubblicana e costituzionale. Oscar Luigi Scalfaro è stato il campione di questa reale identificazione. Il motto era: tutto nella costituzione, niente fuori dalla costituzione. Berlusconi, dall’altro lato, è diventato l’emblema di un consenso democratico radicalmente alternativo alla legittimazione costituzionale. Perciò egli ha impersonato l’istanza riformatrice nella sua massima ampiezza, come emergere della democrazia oltre i limiti del patto repubblicano.
Così abbiamo avuto la famigerata Guerra Civile, il cui ring è stato il berlusconismo e la cui posta in gioco niente meno che l’essenza stessa della democrazia.
Un esempio significativo per capirsi è l’articolo 1 della Costituzione che recita: “La sovranità appartiene al popolo”. Qui vi sono due modi di intendere il principio. Uno è che la sovranità è costituzionale e si declina secondo l’istanza popolare. La seconda è che il popolo è sovrano attraverso questa costituzione o anche un’altra, eventualmente.
Queste due idee dividono l’identità del centrosinistra da quella del centrodestra. Il primo è conservatore e progressista. Il secondo è riformatore e liberale. E Prodi e Berlusconi sono i simboli più chiari di questa doppia identità italiana.
Allora vengo al tema. E’ possibile che farli senatori a vita pacifichi il paese?
Risposta: è possibile ma improbabile. Qui in gioco, infatti, non c’è la loro leadership, non c’è neanche la Guerra civile come tale, la quale a un certo punto dovrà terminare la sua bellicosa virulenza, con o senza governo Letta. Qui in gioco vi è l’essenza della sovranità popolare, il che significhi il modo diverso d’intendere la relazione tra consenso e legalità, tra cittadino e popolo, tra bene comune e consenso. Dunque, il futuro dell’Italia.
La vera soluzione, che può passare anche attraverso una preliminare doppia nomina a senatori a vita dei due personaggi, è quindi una e una soltanto.
Indire e creare un’Assemblea costituente eletta dal popolo, con il coinvolgimento del popolo. In tal caso, avremo finalmente un organo costituente chiamato a decidere, partendo dalla democrazia che è origine e fine della politica, che assetto repubblicano si vuole avere. In caso contrario, avremo sempre il vizio d’origine della conventio ad exludendum con due senatori a vita in più. Uno di loro, tra l’altro, continuerebbe a fare campagna elettorale in nome di un’idea di democrazia come consenso, cosa che evidentemente non sarebbe condivisa dall’altro senatore che la intenderebbe, invece, come legalità rappresentativa del popolo.
Un risultato, dunque, certamente fallimentare perché conflittuale del metodo e nel comportamento. Dobbiamo avere il coraggio di aprire una fase costituente, almeno se il fine vuole essere uscire dalla Guerra civile e non conservare il dualismo democrazia-repubblica all’interno della Repubblica costituzionale e antifascista del ’48.