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Michele Boldrin per Fare chiama a raccolta i liberali anche di Pd, Pdl e 5 stelle

Un rassemblement di forze liberali, in grado di trovare la sintesi su trenta proposte concrete e fattibili per cambiare veramente il paese. Lo chiede l’economista Michele Boldrin, docente alla Washington University di St. Louis e candidato, in concorrenza con Riccardo Gallo e Roberto Italia, alla presidenza di Fare per fermare il declino in occasione del congresso nazionale di Bologna di domenica 12 maggio. In una conversazione con Formiche.net propone la sua ricetta per Fare e per l’Italia, partendo da una vera riforma del settore pubblico.

Come cambiare “Fare” per tornare a fermare il declino?
Più che cambiare Fare l’idea è di andarvi oltre, per due ragioni. Innanzitutto perché la nota vicenda (le dimissioni di Oscar Giannino, ndr) ha marchiato a fuoco l’immagine del partito: i pentimenti e le contrizioni, sia individuali che collettive, non sono purtroppo sufficienti a cambiare l’impressione del grande pubblico. In secondo luogo perché le persone che si erano aggregate attorno a Fare, almeno fino al picco pre-elettorale di febbraio, vanno adesso recuperate per poi allargare a quell’area che molti amano definire liberale, ma che invece credo contenga al suo interno una mescolanza di istanze e pulsioni riformatrici. Sono convinto che nell’elettorato del M5S vi sia, ad esempio, parecchia gente bene intenzionata, che potrebbe essere interessata ad un’altra proposta. Questo vale, ovviamente, anche per quello del Pdl e del Pd. Persone e gruppi organizzati di matrice diversa ma accomunati da un chiaro impegno riformista in senso liberale, anche se la parola “liberale” in questo paese ha purtroppo assunto anche significati ambigui. Dovremo lavorare per ripulirla e riqualificarla.

Quali i suoi obiettivi?
La priorità immediata è dare una struttura democratica ed organizzativa a Fare. Fatto questo lanceremo una serie di iniziative per aggregare forze diverse: riduzione degli stipendi della burocrazia, riforma dell’Imu e suo utilizzo federale, pagamento degli arretrati a fornitori dello Stato, presenza dei partiti nelle fondazioni bancarie e delle fondazioni bancarie nelle banche, riduzione Irap e cuneo fiscale. Non grandi proclami ideologici, ma proposte puntuali e coerenti con il nostro manifesto per giungere in autunno alla costruzione di una cosa nuova, pronti per le elezioni europee del 2014.

Alessandro De Nicola, da queste colonne, ha proposto un referendum economico per abolire la legge Fornero: può bastare?
Concordo sul fatto che quella legge sia fallimentare, ma punterei su proposte positive e non la semplice abolizione. Il mercato del lavoro italiano va riformato ed occorre lanciare una campagna sistematica a questo fine. Ma occorre tenere in mente che in Italia si parla troppo di licenziamento ed articolo 18 a scapito di altre questioni fondamentali.

Bisognerebbe intervenire altrove, allora?
Non son quelli gli elementi decisivi, bensì la legislazione del lavoro nel settore pubblico e la contrattazione collettiva invece che aziendale. Anzitutto, la totale inamovibilità del dipendente pubblico, la mancanza di una precisa responsabilità e l’intero indotto di stipendi, promozioni e scatti che non dipendono da alcuna misura legata alle performances. Un settore pubblico folle che non risponde agli incentivi: ciò è terribile.

Quali critiche muove all’esecutivo di larghe intese?
Credo si voglia mantenere lo status quo facendo l’assoluto minimo e regalando contentini elettorali alle forze che lo appoggiano. Monti fece lo stesso ma, dovendo tappare le falle aperte, si comportò da “sanguisuga” nei primi sei mesi e questo ne segnò il destino. Ora le falle son tappate e, anche se la barca lentamente si inclina comunque, Enrico Letta può far finta di gestire l’esistente senza atti drastici. Questo ci dà l’opportunità di proporli per far capire all’elettorato che senza vere riforme non si va da alcuna parte.

Quanto impatto crede potranno avere nel medio-lungo periodo piccole realtà, di matrice liberaldemocratica ma slegate tra loro, come Italia Futura, Fare, Costituente liberale rispetto invece di un vero e proprio rassemblement?
Aggregare anche queste forze è parte di ciò che intendo fare. Il mondo liberale italiano soffre di difetti atavici, di personalismi eccessivi e di un purismo elitario che porta ognuno ad affermare un suo liberalismo più spiccato di altri. Se sapremo incontrarci e parlarci di cose concrete assieme a persone che “liberali” non si definiscono, ma vogliono risolvere gli stessi problemi allora potremmo sperare in un futuro unitario ed anche radioso.

Chi guiderebbe questo soggetto politico? Nomi come Montezemolo, Passera, Renzi?
Non mi appassiona il dibattito sulla leadership:i partiti a una guida carismatica tendono a cadere assieme al loro leader, e succede spesso. Serve trovare la sintesi su trenta proposte fattibili e concrete, senza vendere fumo ed attorno a queste proposte formare un gruppo dirigente ampio che tenga il timone saldo sulla rotta delle riforme.

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