Siamo certi che la ricetta inseguita dalla politica in tutti questi anni, quella di una riforma liberista, sia ciò che serve all’economia italiana?
A lanciare questa riflessione è Francesco Cundari, giornalista al Riformista di Antonio Polito, al Foglio di Giuliano Ferrara e ora al quotidiano l’Unità diretto da Claudio Sardo.
In un tweet che commentava l’articolo di Michele Salvati sul Corriere della Sera di Ferruccio De Bortoli (nella foto), Cundari ha cinguettato: “Sintesi dell’editoriale: dalla crisi di 20 anni fa non s’è fatto un passo avanti, insistiamo con le parole d’ordine di 20 anni fa”.
Parole che sottolineano come, a suo dire, l’Italia torni “ad avvitarsi su temi e concetti falliti che la Storia ha spazzato via, ma non nel nostro Paese”.
In una conversazione con Formiche.net, il giornalista politico usa come spunto l’editoriale di Salvati per parlare dei conservatorismi nascosti della stampa italiana e del fallimento delle politiche del governo Monti.
LE PAROLE DI SEMPRE
Cosa c’è di così sbagliato nell’articolo del Corriere? Per Cundari in quelle parole si legge “una forte contraddizione: da un lato sembra che dal ’92 a oggi non sia cambiato niente, si usano le stesse parole: riforme, liberismo, flessibilità. Dall’altro però ci si dimentica che alcune riforme sono state fatte. Il guaio è che non hanno sortito gli effetti sperati e quindi perché continuare a sbatterci la testa? Questo atteggiamento mi ricorda un vecchio modo di dire comunista”.
Quale? “Per giustificare il fallimento del socialismo reale, si continuava a dire: la teoria è giusta, ma è stata applicata male. Se quello che è stato fatto finora ha portato al governo di Mario Monti – bocconiano ed editorialista del Corriere, che in favore della sua “salita” a premier aveva speso fiumi di inchiostro – che avrebbe dovuto riparare i guasti del passato, non vedo come riprendere quella strada possa portare a qualcosa di buono”.
IL CONSERVATORISMO DEL CORRIERE
Come più volte evidenziato da Formiche.net, balza all’occhio come il Corriere della Sera abbia una duplice natura: giornale della borghesia italiana e dall’azionariato che raggruppa i poteri forti da un lato, e fustigatore della Politica dall’altro. Il bestseller “La Casta” si deve proprio a due suoi giornalisti di punta: Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella.
Un atteggiamento che Cundari legge in più modi: “Ricordo quando in una pubblica assemblea la moglie di un noto banchiere chiese a Mario Monti cosa intendesse fare contro i privilegi della Casta. Bene, questo dà l’idea di come in Italia si ricorra sempre a una sorta di deresponsabilizzazione, per cui ciò che accade è sempre colpa degli altri. In questo senso i politici sono un bersaglio ideale”.
Ma per il giornalista c’è di più: “In un momento di crisi economica così acuta, il rischio che si proceda a riforme che ridistribuiscano reddito è altissimo. Questo ovviamente i ricchi vorrebbero evitarlo. Ecco perché attaccando la Politica e indebolendola, si lavora paradossalmente per disinnescare l’unico strumento democratico che può attuare quelle riforme. Così, una campagna contro i privilegi, diventa in realtà il modo più efficace di fare conservatorismo”. Un modo di fare che ricorda le parole di Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: “Bisogna che tutto cambi perché tutto resti uguale”.