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Ilva e il governo, fra Thatcher e Andreotti

Il dossier Ilva sarà oggi nuovamente al centro di un vertice del governo. Enrico Letta e la sua squadra si troveranno a fronteggiare una questione delicatissima in cui si incrociano e si confondono tre diversi piani: vicenda giudiziaria, risanamento ambientale e politica industriale.

In un Paese ordinato le tre dimensioni del problema resterebbero distinte, soprattutto la vertenza legata alla inchiesta della magistratura. Da noi, chissà perché, non si riesce. L’unica certezza è che, giunti a questo punto, la politica del rinvio o della non decisione può essere fatale.

I ministri Zanonato e Orlando, con il vertice di Palazzo Chigi rappresentato da Letta, Alfano e Patroni Griffi, si troveranno a dover prendere atto, da una parte, della piena vigenza della legge 231 del 2012 votata a larghissima maggioranza dal Parlamento e “certificata” dalla Corte Costituzionale e, dall’altra, le decisioni di sequestrare preventivamente prima i prodotti finiti (un miliardo circa di valore) e poi la quota di Ilva detenuta dalla società capogruppo Riva Fire. In mezzo, il futuro di circa quarantamila famiglie e di una intera provincia.

Il sentiero è stretto e lo spazio per la fantasia quasi azzerato. Sino ad oggi le diverse istituzioni coinvolte hanno lavorato soprattutto partendo dai fatti giudiziari e dalla necessità di avviare il risanamento ambientale. La questione della politica industriale era rimasta sullo sfondo. Ora però occorre partire da qui, con chiarezza e senza esitazioni. Il bivio per il governo è Thatcher o Andreotti, libero mercato o consociativismo sotto le insegne dello Stato.

Non è un caso che la vicenda Ilva sia stata e sia il principale oggetto di attenzione di Adriano Sofri. L’ex guru di Lotta Continua da mesi scrive dello stabilimento di Taranto. Dopo aver denunciato con vigorosa passione retorica i mali della cittadina pugliese, ieri ha cambiato registro. Dall’apocalisse è passato alla catarsi. L’accaio, prodotto di un processo di morte, diventa fondamentale e il sociologo si trasforma in esperto di industria siderurgica. L’innovazione narrativa non è banale e non va sottovalutata. Landini, leader del sindacato Fiom della Cgil, sin dall’inizio ha parlato di nazionalizzazione dell’Ilva e ieri Sofri ha definito con chiarezza il contesto nel quale questa ipotesi prende corpo.

Thatcher o Andreotti, dicevamo. Il governo si troverà a registrare un fronte ampissimo che, con sfumature diverse, gli chiederà di assumersi direttamente la titolarità del futuro dell’Ilva. Potrebbe essere una exit strategy per gli stessi Riva, una certificazione di vittoria per i magistrati che perseguono le responsabilità penali degli imprenditori, la rassicurazione più grande per i sindacati e i loro iscritti, una vittoria doppia per Nichi Vendola. Certo, bisognerebbe convincere la Ue della opportunità di una nazionalizzazione (aiuti di Stato?) e Cassa depositi e prestiti ad intervenire in un settore non strategico o comunque poco redditizio. Tutto si aggiusta, dicono però i fautori della soluzione statalista.

Resta – almeno astrattamente – l’ipotesi Thatcher, la scelta cioè di affermare chiaramente che lo Stato non interverrà a coprire gli errori altrui e che i compiti di Parlamento e governo si limitano ai poteri legislativi ed esecutivi. Se i Riva saranno ritenuti colpevoli, pagheranno. Se innocenti, saranno liberi. Ilva intanto ha già dei custodi giudiziari e un commissario a guida della capogruppo. Ognuno si assuma le proprie responsabilità e sia infine il mercato a decretare la vita o la morte dello stabilimento tarantino, senza tirare per la giacca il governo. Sin qui, la (improbabile) versione “lady di ferro”.

La verità è che la questione Ilva costringe il governo e le parti sociali a fare i conti con le scelte di fondo di una politica industriale per troppo tempo rimasta in soffitta. È qui che il premier e la sua ancor più strana maggioranza dovranno battere un colpo, con chiarezza. Può essere una prova che frantuma il patto generazionale Letta-Alfano o al contrario rafforzarlo. Se è vero che il governo dovrà decidere la sorte dell’Ilva, vale anche il contrario.


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