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Ilva, i magistrati faranno collassare Taranto. Parla Gozzi

Il mondo dell’acciaio italiano rischia di affondare, trascinando con sé un pezzo importante di economia. La crisi del comparto siderurgico, uno dei dossier più urgenti sul tavolo del governo, passa attraverso il futuro di Ilva, il colosso della famiglia Riva.

Lo stabilimento di punta del gruppo Riva, quello di Taranto, è da mesi teatro di un contenzioso che pare lungi dal terminare. Un braccio di ferro giuridico che coinvolge tutti: azienda, politica, magistratura, cittadini. All’orizzonte c’è lo spettro della desertificazione industriale del territorio, che rischia di avere ripercussioni su tutta la filiera della manifattura ed essere il colpo finale inferto all’industria italiana.

Un pericolo da scongiurare a tutti i costi per Antonio Gozzi (nella foto), presidente di Federacciai, che in una conversazione con Formiche.net spiega cosa agita realmente le acque di Ilva, in quella che all’apparenza è solo una crisi industriale.

Presidente, il governo ha aperto l’ennesimo tavolo per affrontare la crisi di Ilva. Ma l’esecutivo che cosa può davvero fare?
Sull’iniziativa non mi pronuncio, perché fino ad ora non ha prodotto niente. Sicuramente parliamo di una situazione complicata, ma io spero che chi di dovere adotti nulla più che provvedimenti conformi alla legge. Legge, lo voglio ricordare, approvata non più di 7 mesi fa e confermata da una sentenza recentissima della Corte Costituzionale.

Si riferisce ai provvedimenti del governo Monti?
Esatto. Non chiediamo mica di stravolgere l’ordine delle cose. La legge 231, stabiliva con chiarezza che dopo l’approvazione dell’Aia la gestione della crisi sarebbe passata nelle mani del governo. E invece i con i provvedimenti del Gip di Taranto la gestione della crisi ripassa nelle mani della magistratura.

Ma i capitali sequestrati non sono beni personali dei Riva, frutto di capitali scudati?
Sono beni della famiglia Riva probabilmente rientrati proprio per finanziare il risanamento del polo siderurgico. Ovviamente la mancanza di queste disponibilità rischia di far mancare risorse strategiche per l’attuazione dell’Aia. Il consiglio di amministrazione dell’Ilva stava per approvare un piano finanziario quinquennale 2013-2018 sostenuto dai pareri di fattibilità di primari istituti bancari italiani e all’interno di questo piano era prevista la copertura finanziaria di tutti gli investimenti legati all’Aia. Proprio quello che si è sempre chiesto come condizione per dare credibilità agli impegni assunti dai Riva.

Pensa che sia un accanimento?
Temo che il risultato oggettivo dell’azione dei magistrati sia quello di provocare il collasso dell’Ilva e quindi la sua fermata. C’è un’idea di una parte dell’opinione pubblica tarantina che pensa che lo stabilimento possa vivere senza l’area a caldo o, ancora peggio, che i dipendenti di Ilva e l’indotto possano essere da domani a carico dello Stato. Senza rendersi conto che questo condannerebbe alla desertificazione industriale una delle regioni più avanzate d’Italia e avrebbe ripercussioni su tutta la filiera che usa i prodotti di Ilva: meccanica, metalmeccanica. Tutti settori di eccellenza che dovrebbero poi accettare contratti capestro con l’estero per sostituire quei 5 milioni di tonnellate d’acciaio. I nostri concorrenti ovviamente non vedono l’ora che ciò accada e già si registra un aumento delle importazioni di acciaio in Italia.

Le sue parole rilanciano l’idea di un conflitto tra poteri.
È un problema del quale ci stiamo occupando anche a Confindustria. Non credo si possa vivere in un Paese in cui le imprese vengono espropriate dalla mattina alla sera senza preavviso con la semplice ordinanza di un Gip e senza che ci sia una sentenza di un giudice, perché è questo sta accadendo.

Questo non solleva dal definire una soluzione. Ammesso che ci sia uno scontro, che cosa propone Federacciai per uscire da questa impasse? Quale disegno industriale immagina con il sostegno del governo? C’è chi parla persino di nazionalizzazione…
Sono tutte stupidaggini. Lo Stato italiano non ha soldi per finanziare l’eco-bonus per 50 milioni di euro, figuriamoci per nazionalizzare Ilva. Sono idiozie che dice chi non conosce la questione o chi la vuole strumentalizzare.

E allora che fare per risolvere il problema?
Io credo che il problema vada prima definito. E solo allora si comprenderà che allo stato attuale il solo freno alle attività dell’azienda sono proprio le ordinanze di sequestro delle holding dei Riva. Io insisto su questo punto. Se si è fatta già una legge che è intervenuta su decisioni di Taranto, perché si è ritenuto necessario intervenire di nuovo su una materia perfettamente regolata dalla Legge 231? Rischiamo di nuovo di essere in presenza di un gravissimo conflitto istituzionale. Chi deve fare la politica industriale in Italia? La Legge 231 dice che debbano farla il Parlamento e il governo, invece dei magistrati hanno deciso che vorrebbero farla loro.

Ilva, Zanonato: l’acciaio deve rimanere italiano (fonte video: Tg La7)



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