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La Convenzione di Berlusconi? O si cambia o è meglio non farla. Parla Latorre

O la Convenzione per le Riforme diventa luogo di confronto tra parlamentari ed esperti, oppure meglio affidarne le funzioni alle due commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato. E’ il ragionamento del senatore democratico Nicola Latorre (nella foto), neo presidente della commissione Difesa del Senato, che all’indomani della marcia indietro di Silvio Berlusconi sulla presidenza della “nuova Bicamerale”, analizza la situazione politica in una conversazione con Formiche.net.

Sulla Convenzione ecco la retromarcia di Berlusconi: adesso è inutile o non è più un obiettivo?

Credo che sulla Convenzione sia il caso di fare un’analisi maggiormente serena e approfondita. L’idea nacque quando Bersani intese proporre un governo minoritario di centrosinistra. E chiese al centrodestra la possibilità di far partire il lavoro dell’esecutivo e l’attività del Parlamento offrendo in cambio la guida di una Convenzione. Che raccogliesse tutte le forze per confermare l’impegno ad avviare la riforma costituzionale e quella della legge elettorale in un quadro condiviso.

Quelle condizioni oggi sono mutate?

Nel momento in cui è cambiato il quadro politico complessivo, in virtù di un governo di coalizione, nominando un ministro per le riforme del Pdl, è chiaro che la Convenzione adesso assume un altro significato. Così com’era rischiava di complicare il percorso delle riforme, anziché agevolarlo. A meno che non diventi un luogo per raccogliere il pensiero di esperti anche esterni al Parlamento.

Come procedere quindi?

A questo punto la cosa più saggia da fare sarebbe immaginare la Convenzione come un luogo dove parlamentari ed esperti si confrontassero assieme, offrendo alle commissioni Affari Costituzionali gli strumenti per attirare velocemente il processo riformista. In questo caso non vi sarebbe nemmeno necessità di una legge costituzionale per insediarla. Oppure, anziché istituire la Convenzione, affidarne alle due commissioni ruolo e funzioni.

Il politologo Alessandro Campi da queste colonne ha osservato che si potrebbe riformare il Porcellum in due settimane: cosa impedisce al Parlamento di farlo, allora?

Teoricamente si potrebbe farlo anche in mezza giornata. Il problema è che, ovviamente, la riforma della legge elettorale è un passaggio politicamente rilevante. E certamente servirà accelerarne i tempi, ma consapevoli di quale sarà la prospettiva di riassetto costituzionale in termini di forma di governo. Per intenderci, se immaginassimo, come mi auguro, nella forma di governo, dunque nella seconda parte della Costituzione, un assetto semipresidenzialista alla francese, è chiaro che potremmo già dirigerci verso una legge elettorale a doppio turno con collegi uninominali. Sarebbe un errore riformare la legge elettorale dopo quella costituzionale.

Sul caso Nitto Palma si sta incrinando l’alleanza di governo?

Lo vedremo nelle prossime ore. La questione non è riferita a un non rispetto dei patti, perché in tutte le commissioni si è proceduto sulla base degli accordi stretti.

Da neo presidente della Commissione Difesa del Senato, quale crede sarà la direttrice di marcia sugli F-35, dopo che il ministro Mauro ne ha difeso l’acquisto?

E’ noto che sull’argomento ho un’opinione, sulla quale si è ispirata la linea del Pd durante la campagna elettorale. Ma il mio ruolo istituzionale adesso impone la necessità di affrontare la questione con i necessari equilibri: in sintonia con gli orientamenti del governo, ma affidando ad una seria discussione la decisione, con un ruolo non marginale contemplato per le forze di opposizione. E giungere a una sintesi che tenga conto della globalità delle esigenze.

twitter@FDepalo

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