In questa prima fase il governo si è mosso con una serie di stop and go, ragiona con Formiche.net Altero Matteoli, ex ministro Pdl e presidente della commissione Lavori Pubblici del Senato, secondo cui ora si rende imprescindibile un cambio di passo. “Bisogna che il bravo Letta comprenda che è giunto il momento di innestare la marcia”. E al Pdl manda a dire che “la quadra non è coesa”.
Movimentata riunione due giorni fa dello stato maggiore del Pdl: quali rilievi muovete al premier Letta?
Il testo sul finanziamento pubblico dei partiti è assolutamente improponibile, chi lo ha scritto evidentemente non ha mai gestito un partito. Contiene delle notevoli assurdità che mi auguro vengano corrette. Così com’è non lo voterei mai e come me credo la stragrande maggioranza dei parlamentari che conoscono, anche minimamente, come funziona un partito.
Berlusconi oggi avverte Letta: sì all’appoggio all’esecutivo, ma a precise condizioni. Quali?
Basta tergiversare su Imu sì, Imu no, Imu in parte. Su quella tassa noi non abbiamo alcuna intenzione di transigere, così come sul fatto che chi assume un giovane non paga contributi previdenziali per tre o quattro anni. Queste sono le decisioni che chiediamo con forza. D’altra parte il Presidente Letta, molto correttamente, quando si è presentato in Parlamento ha inserito proprio questi punti nel programma di governo.
Quindi la legge elettorale scivolerebbe fuori dalle priorità?
E’ un argomento sul quale non ci potrà mai essere una condivisione all’unisono all’interno di un partito. Lo dico con onestà intellettuale: personalmente non ho mai criminalizzato l’attuale. Se non c’è stata una governabilità non è stata colpa del Porcellum, ma perché qualcuno eletto in un partito ha poi deciso di cambiare casacca, indebolendo la maggioranza e la sua politica.
Neanche un minimo correttivo?
Magari potremmo ipotizzare qualche accorgimento, ma per il resto potrebbe andare. Però direi che con tutti i problemi che ci sono oggi nel Paese, pensare che la priorità sia il sistema di voto a me fa sorridere. Anzi, mi provoca tenerezza sentire qualche autorevole collega sostenere questa tesi.
Sferzata di Bankitalia: “Paese indietro di 25 anni, ora le riforme”. Può bastare l’annuncio del ministro Giovannini sull’occupazione?
Abbiamo un governo molto forte da un punto di vista numerico, certamente lo è meno sotto l’aspetto politico, in quanto nasce dal buon senso ma non piace neanche a coloro che ne fanno parte. Semplifico: non gradisco essere nello stesso esecutivo con esponenti della sinistra, ma riconosco come il dato sia reciproco. Consapevoli che serviva fare le riforme e mossi dal buon senso, lo abbiamo accettato: per cui ora lavoriamo, tentando di trovare un punto di incontro. Si aggiunga che le riforme di cui necessita l’Italia non potranno essere fatte da una singola parte politica: occorrerà il più ampio coinvolgimento di tutto il Parlamento.
Rischia di non esserci?
Dal momento che si tratterà di scelte che resteranno in piedi per decenni, dovrebbero essere concordate da tutti. Si prenda la nostra Costituzione, sono 65 anni che è in piedi e ha fatto egregiamente il proprio dovere. Certo, in una società mutevole si rendono necessari alcuni aggiustamenti. Ma proprio per questo dobbiamo avere la forza di farli.
Anche a sinistra c’è qualcuno che chiede al governo di non vivacchiare: casuale l’affinità con Renzi?
Vi sono affinità perché ognuno di noi è entrato nel governo convinto di realizzare alcuni punti, oltre alle riforme condivise. In questa prima fase il governo si è mosso con una serie di stop and go. Era quasi inevitabile che fosse così, ma ora non può continuare. Bisogna che il bravo Letta comprenda: è il momento di innestare la marcia, perché fino ad ora ha tenuto il freno a mano tirato.
Esiste nel Pdl una questione legata al doppio ruolo di Alfano?
Nella storia della politica italiana ce ne sono stati tanti. Addirittura una volta, quando il partito contava, segretario e presidente del consiglio erano la stessa persona. Oggi che i partiti sono meno autorevoli non credo sia quello il nodo. Noi, a differenza di altri, abbiamo un leader indiscusso che in occasione delle elezioni è il punto di riferimento e ci fa guadagnare consensi.
Ma dopo?
Vi sono decisioni diverse prese da regione a regione, quando invece c’è bisogno di remare tutti dalla stessa parte. Manca una squadra coesa che in qualche modo dovrebbe poi gestire il partito. Perché spesso siamo costretti a ricorrere a Berlusconi anche per rilievi marginali di cui potrebbe essere benissimo esentato.
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