L’impiego della tecnologia nei musei è in genere assai poco appariscente. Ma sta silenziosamente ridisegnando il modo in cui i musei svolgono la loro funzione. Il livello interessato ora in maniera più evidente è quello della relazione con il visitatore, che occupa una posizione progressivamente più centrale, fino a determinare scelte pubbliche. Un esempio? Il blog theoatmeal.com lo scorso agosto ha raccolto su Indiegogo in 9 giorni un milione di dollari che, insieme agli 850 mila messi a disposizione dallo Stato di New York, andranno a finanziare un museo dedicato all’ingegnere e inventore Nikola Testa.
L’esperienza del visitatore non si racchiude nello spazio fisico della visita. Ma ha un post ed un ante che non sono una semplice premessa e coda al momento ritenuto clow. Oltretutto può essere del tutto svincolato dall’esperienza fisica. Come dimostra esemplarmente il caso del Chrome Web Lab, che, in collaborazione con lo Science Museum di Londra, permette a più utenti simultaneamente di suonare via web degli strumenti musicali presenti sia in forma virtuale sia in forma fisica nello spazio del museo. Non soltanto. L’offerta è allargata. Grazie alle proiezioni digitali delle collezioni, delle mostre e degli eventi curate dalle stesse istituzioni o implementate da soggetti terzi.
I vantaggi di questa esperienza virtuale? Prima di tutto la possibilità di replicare in una dimensione “ricostruita” spazi realmente esistenti, collezioni disperse o impossibili nel mondo fisico. Ma anche il proporsi come canale aggiuntivo. Nel tentativo di raggiungere un pubblico nuovo, oltre che consolidare la relazione con il pubblico esistente. Ancora, con finalità didattiche o di approfondimento.
Sempre più spesso il visitatore ha la possibilità di costruirsi percorsi di visita autonomi, su internet o attraverso le app dei musei.
Il digitale non è quindi un’alternativa al fisico, ma un suo arricchimento, una sua implementazione. Il registro è talvolta ludico, così da enfatizzare la curiosità e la motivazione del visitatore. Come in Tate Trumps, una app che trasforma la visita in una sfida tra amici, nella quale tuttavia è ben presente un confronto critico con le opere. Tutte esperienze rese possibili dall’utilizzo sempre più massiccio del cellulare dentro il museo.
Certo è che il museo digitale permette un’osservazione da una posizione privilegiata. Contando sull’accessibilità di una quantità enorme di informazioni sulle collezioni, gli autori, i contesti. Permettendo così anche dei ripensamenti. Non sull’esistenza dei musei fisici, insostituibili contenitori di testimoni culturali. Ma, forse, delle modalità di presentazione di quei testimoni. Della loro capacità di farsi interpreti del tempo.
Con la tecnologia si mettono al centro gli interessi del pubblico più vasto. Verrebbe da dire, era ora!