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Viaggio nella discarica di rifiuti tech più grande del mondo

C’è una città dove l’immondizia diventa un business. Siamo nel  Sudest della Cina, a Guiyu, destinazione dei rifiuti elettronici da tutto il mondo. Un cestino gigante come una città.

Qui i rifiuti arrivano a bordo di grossi camion per poi essere riciclati: da qui gli operai ne ricavano gli elementi da rivendere. Tutti questi rifiuti vengono dall’estero, dice una donna, nonostante la legge cinese abbia messo al bando le importazioni. I pezzi più ambiti sono i circuiti stampati, tenuti a parte, il resto finisce nel calderone: i chip finiscono dentro delle bacinelle, per poi essere rivenduti alla Foxconn, che produce componenti anche per Apple.

E’ Greenpeace a lanciare l’allarme: aria e acqua a Guiyu sono inquinate, alcuni componenti rilasciano mercurio, altamente tossico, che finisce nella catena alimentare. “Quando questi rifiuti si riciclano in modo primitivo, come succede in Cina, l’ambiente viene devastato”.

In città le opinioni sono contrastanti in materia. “Quando la mia famiglia è arrivata sei anni fa era pieno di spazzatura, ora è molto meglio, le autorità hanno imposto regole rigide” dice un abitante. Ma chi non lavora nel settore non la pensa così: una famiglia di contadini non beve neanche l’acqua.

“Ci rifiutiamo di mangiare il riso che coltiviamo qui, a causa dell’inquinamento: non sappiamo cosa potrebbe succedere”. I lavoratori puntano il dito contro America, Europa e altri Paesi asiatici, ma con la diffusione del benessere la Cina si è aggiunta ai grandi produttori di e-waste. Capire cosa fare è una delle grandi sfide per i governanti di tutto il mondo.



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