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Bahrain: la primavera dimenticata

Il principe ereditario del Bahrain Salman al Khalifa è stato a Washington in questi giorni per convincere l’amministrazione Obama che il “Dialogo Nazionale” tra il regime ed i suoi contestatori non è morto e che l’”eccezione monarchica” che ha finora risparmiato la Giordania e le plutocrazie del Golfo si regge su un un piano di riconciliazione autentico e non di facciata. La Casa Bianca ha reso noto che mentre il principe era a colloquio con il vice consigliere per la sicurezza nazionale Tony Blinken, il presidente Barack Obama “dropped in”,tanto per ribadire “l’importanza di riforme sostanziali ed il rispetto dei diritti umani universali”. Un rimbrotto tutto sommato prudente che conferma il sostegno all’alleato (il Bahrain ospita una base militare americana e la Quinta Flotta delle marina) e condanna la violenza, ma senza esagerare. L’Iran è al di là del Golfo Persico e non è certamente un osservatore spassionato delle rivendicazioni degli sciiti del Bahrain. Non passa giorno che le autorità del regno non denuncino la presenza presenza di complotti veri o verosimili, di spie e sabotatori iraniani. Non è un caso che il Dipartimento di stato americano abbia onorato la sua assistenza militare a Manama per il 2014 con 10 milioni di dollari. C’è una parte del Bahrain che si vede come una nuova Dubai e sogna frotte di turisti globali e businessmen a consolidare il ruolo di hub finanziario regionale, senza pensare che il regno è molto più fragile di quanto voglia apparire e che i bilanci sarebbero diversi senza le generose iniezioni di capitali di sauditi ed amici degli emirati. Poi c’è un altro Bahrain, quello che fugge dai lacrimogeni e osserva attonito quella che pare la fine di un’era, è il Bahrain che si sente tradito dalla posizione americana e la accomunano a quella russa sulla Siria. (gli sciiti, ma anche un’ opposizione sunnita che lamenta corruzione e nepotismo). Il principe Salman, la colomba in una famiglia in cui i falchi sono fortissimi, è considerato l’ultima spiaggia. Anche lui però ha deluso. Era partito con il mantra “evolution not revolution”, il “Bahrain è di tutti sciiti e sunniti allo stesso modo”, ultimamente però ripete altrettanto spesso: “i diritti civili sono importanti ma devono andare a braccetto con l’ordine e la sicurezza”. Così da un lato l’ opposizione va via via radicalizzandosi e dall’altro la repressione si fa più feroce. Human Rights Watch definisce il regno “un’oasi protetta per i torturatori”.
Così “La rivoluzione araba abbandonata dagli arabi, rinnegata dall’Occidente e dimenticata dal mondo”(copyright al Jazeera) continua.
Incidentalmente, in perfetta eterogenesi dei fini mediorientali, mentre il Principe Salman cercava paterna comprensione a Washington, a Manama, re Hamad riceveva in pompa magna il leader di Hamas Khaled Meshaal, il tutto proprio nei giorni in cui il Bahrain preme sul Consiglio di Cooperazione del Golfo per una condanna contro Hizbollah.



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