Al solo annuncio del tempo splendente c’è chi sarebbe pronto ad accusare Berlusconi di inneggiare al global warming. L’Italia è un Paese così, devoto al politamente corretto salvo essere irriverente nelle urne.
Mentre il Pd dopo aver vinto le amministrative si dilania sulla governance che precede la scrittura delle regole per primarie e congresso (!), l’ex premier di centrodestra era a Pontida in una casa di cura.
Già questo, dovrebbe bastare a capire come il leader Pdl interpreti questa fase, con un occhio alla stabilità del governo e l’altro alla campagna elettorale (fra le persone e non solo in tv o sui giornali). Dovendo rivolgersi non ad un consesso di pregiati economisti ma ad anziani e malati, Berlusconi non ha usato perifrasi e ha detto papale papale quello che in tanti, anche a sinistra, pensano: perchè impiccarsi alla corda del 3%?
Il patto di stabilità e il Fiscal compact rappresentano il totem dell’ortodossia euro-austera e quindi il tabù che i neokenesiani vorrebbero infrangere. Se non si indossano paraocchi, si potrà convenire che al nostro Paese serve tanto una maggiore disciplina quanto maggiore flessibilità.
Potrebbe sembrare, detta così, una formula facile e irrealizzabile. La politica però è il regno del possibile.
Se l’Italia fosse come una impresa, con un importante patrimonio (non smobilizzabile facilmente) un elevato debito e una calante capacità produttiva, risulterebbe chiaro che sia l’ipotesi di rientrare drasticamente dal debito, così come continuare a finanziare un cash flow negativo, sarebbe esiziale per l’azienda e per l’istituto creditore. In una situazione di questo tipo, il privato presenterebbe alle banche un piano industriale per il rilancio delle attività e nuovi investimenti. Valutata la congruità e la serietà del progetto, si potrebbe arrivare all’obiettivo di ristrutturare il debito e aprire nuove linee di credito.
Dire, come continuano a fare i nostri politici, che l’alternativa è fra non pagare le rate del mutuo e privarsi dei beni primari per saldarle, è solo una pericolosa e sciocca banalizzazione del problema. Se però Berlusconi si esprime semplicisticamente per sedurre potenziali elettori, francamente si fatica a comprendere il senso di una irremovibile posizione ultrarigorista che, come visto con Monti, non migliora né i conti pubblici (debito aumenta e Pil sprofonda in negativo) nè la coesione sociale.
Il governo non ha e non avrà le risorse per fare quanto annunciato da Enrico Letta (non da Berlusconi) alle Camere. La linea tedesca e della Commissione non conduce a misure eccezionali contro la disoccupazione giovanile ma al licenziamento (o anche solo licenziabilità) dei dipendenti pubblici.
Il nostro orizzonte non è verso l’altra sponda dell’Atlantico (gli Usa) ma è rivolto all’altra sponda dell’Adriatico (la Grecia). Probabilmente, invece di pensare ai sondaggi o alle opinioni degli europoteri forti, la maggioranza che sostiene il governo dovrebbe ragionare seriamente e senza pregiudizi su come (e se) uscire dalla spirale recessiva.
In questo senso, le parole di Berlusconi – per quanto superficiali e discutibili – non meritano la reazione isterica di chi rifiuta il confronto fra rigoristi e sviluppisti.