Il fuoco della rivolta turca è divampato anche in Brasile, dove da giorni si moltiplicano proteste in ogni angolo del Paese. La causa scatenante, apparentemente banale, è stata quella dell’aumento del costo dei trasporti pubblici.
Un balzello rientrato immediatamente a fronte dei disordini, che il governo ha provato a sedare anche grazie alla mediazione della premier Dilma Rousseff.
A nulla però è servito l’impegno in prima persona della presidentessa brasiliana e il Paese sprofonda giorno dopo giorno nel caos. Chi ha torto e chi ha ragione?
Una situazione complessa per Antongiulio De’ Robertis, professore ordinario di Storia dei trattati e politica internazionale alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bari, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché i media non raccontano con chiarezza ciò che accade nel Paese sudamericano.
Professore, cosa accade in Brasile?
C’è una vivace, legittima protesta. Il problema semmai è come viene raccontata dalla stampa.
Si spieghi meglio.
Vede, mi ricorda molto quando negli anni ‘60 una minoranza di comunisti provava con le manifestazioni e le pressioni di piazza a sovvertire il risultato delle urne.
Quindi non bisognerebbe raccontare ciò che accade?
Certo che bisogna raccontarlo, ma c’è un atteggiamento di partenza degli organi di stampa occidentali per cui la piazza ha sempre più ragione delle Istituzioni. Se si paragonano i voti presi da Dilma Rousseff e il numero – esiguo – dei manifestanti, ci si rende conto che i disordini in Brasile non possono condizionare le politiche del Paese.
Mi perdoni, ma la democrazia non nasce proprio per tutelare le minoranze?
Sì, ma partendo dal presupposto che se il voto ha un valore, la minoranza non può prevalere sulla maggioranza solo perché grida più forte. Se passasse questo concetto, prevarrebbe una logica leninista. E purtroppo, in questo senso, la stampa occidentale tende ad esaltare sempre più spesso il ruolo delle minoranze attive, mettendo in un angolo le ragioni di maggioranze passive e silenziose.
Senza fare un parallelismo forzato con la Turchia, non le sembrano però due situazioni troppo simili per essere solo frutto di un racconto sbagliato dei media? Entrambe nascono apparentemente da cause banali (gli alberi di Gezi park e l’aumento dei biglietti dei bus), ma forse celano un malessere profondo. Si parla di sprechi per i Mondiali di calcio, di povertà…
Senza dubbio, io non dico che chi protesta faccia male a farlo. È un diritto. Ma è altrettanto giusto non dimenticare che a fronte di un certo numero di manifestanti, c’è un numero molto maggiore che ha gli stessi diritti e non condivide le ragioni della protesta. Perché non considerarli? Ad ogni modo credo che Dilma Rousseff, che stimo per storia personale e politica, non si farà mettere sotto da un manipolo di contestatori.