Con l’incontro di stamani del presidente del Consiglio Enrico Letta, e dei ministri Gaetano Quagliariello e Dario Franceschini, con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano le riforme sembrano essere entrate nel momento topico. Come dire che adesso, cioè nei prossimi giorni, su quest’argomento o la va o la spacca.
Il presidenzialismo visto da destra
Come si sa tradizionalmente le posizioni sono divise soprattutto sul presupposto più importante che riguarda l’architettura inziale e fondamentale dello Stato, vale a dire il presidenzialismo. Il centrodestra, infatti, nelle sue due anime principali è sempre stato favorevole a un superamento della forma parlamentare verso una più polarizzata sull’esecutivo. In parte perché Alleanza Nazionale aveva il presidenzialismo nel suo Dna e in parte perché Forza Italia era un partito con una forte leadership carismatica.
Il presidenzialismo visto da sinistra
Dall’altro lato, invece, la cultura del centrosinistra è sempre stata contraria al primato del Governo sul Parlamento. La Dc perché preferiva una sua centralità legislativa e deliberativa, il Pci perché ostile al populismo personalista.
Il quadro è chiaro se si tengono presente questi binari. Certamente oggi tutto è cambiato. Quei partiti non esistono più, anche se sembrano resistere le mentalità. Il centrodestra, per bocca del ministro competente, vuole partire, non a caso, dal semipresidenzialismo come ipotesi di lavoro, avendo ottenuto nel pomeriggio l’adesione rilevante di Anna Finocchiaro del Pd. Come si sa, invece, la base del partito di maggioranza della sinistra è ancora molto contraria.
Abbandonare i retaggi del passato
La prima cosa per fare le riforme, e per andare, in specie, verso il semipresidenzialismo, è proprio abbandonare i retaggi del passato. Non c’è più il comunismo, è vero, e la sinistra ha ragione a ridere quando se ne evoca lo spauracchio, ma non ci sono più neanche i fascisti, e da un pezzo.
Pertanto, stare ancora sulle barricate, quando la guerra è finita, ricorda il ridicolo personaggio di un noto sceneggiato western degli anni ’70, non una buona tattica di azione.
Semipresidenzialismo perché…
In direzione opposta, il semipresidenzialismo si presenta oggi come la migliore soluzione, grazie a giustificati motivi, diversi e superiori a quelli classici da manuale.
In Italia la guerra civile senza armi ha lacerato, dividendo in due, li rapporti politici in questi vent’anni. Una contrapposizione amico-nemico che ha avuto un riferimento personale in Silvio Berlusconi e una contrapposizione istituzionale, fondatrice dello schema, nel conflitto democrazia-Stato. Da un lato, infatti, un leader carismatico, guidato dal consenso maggioritario e democratico degli italiani; dall’altro, il potere di una magistratura che incarna la perfezione della legge, l’ordine, la moralità funzionale dello Stato.
La guerra civile si chiude con un cambio di forma di Stato
Tradotto in soldoni, da un lato vita e popolo democratico e, dall’altro, Repubblica e organi istituzionali. Se si accetta questa premessa, il ragionamento è presto fatto. Una guerra civile si chiude con un cambio della forma di Stato. Modificare la Costituzione, però, senza chiudere il contenzioso non ha senso. Il modo per superare la situazione, dunque, non può essere fatto se non portando la base della democrazia, ossia la vita, l’esistenza e la volontà reale dei cittadini, al vertice dello Stato. Quando il consenso non sarà più fuori legge e lo Stato non sarà più un organo estraneo ai cittadini, allora la riforma sarà compiuta.
L’unica soluzione possibile
Per questo il presidenzialismo è l’unica soluzione possibile. Con tale sistema di governo la democrazia, infatti, sale con il consenso a essere fondamento dello Stato, e il presidente, eletto a suffragio universale, garantisce che tutti gli organi della Repubblica, anche quelli non elettivi come la magistratura, siano democratici dall’origine e per definizione. Se il popolo è causa dello Stato, niente nello Stato è antidemocratico, neanche l’esercizio del potere giudiziario.
Il presidenzialismo minimo
In buona sostanza, l’importanza della riforma presidenziale sta nel fatto che il popolo legittima lo Stato, e non, invece, nella retorica dei poteri effettivi del presidente, peraltro irrilevanti – anche se non pericolosi – in questo contesto. Penso addirittura che il miglior presidenzialismo sia il presidenzialismo minimo, ossia quello che dà al capo dello Stato non più poteri di quelli che oggi già detiene in maniera controllata ma maggiore legittimità democratica. Il cuore della riforma, infatti, non è il maggiore o minore potere del presidente, ma la forma popolare che il presidente della Repubblica acquisisce. Egli è responsabile davanti ai cittadini della democraticità del sistema, essendo, proprio perciò, garante e custode della Costituzione.