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Finanziamento dei partiti, diagnosi e cura

Non sorprende che il disegno di legge proposto dal governo Letta per una nuova disciplina del finanziamento anche pubblico dei partiti stia suscitando tante polemiche.

Sarà il lavoro parlamentare a dimostrare che è molto difficile intervenire in questa materia, perché è difficile distinguere una rigorosa diagnosi dei partiti dalla cura finanziaria della loro esistenza ed operatività.

Anche all’Assemblea Costituente la questione dei partiti politici finì con il rappresentare un punto di divergenza tra le componenti di cultura marxista, quelle di cultura cattolica e quelle di cultura liberale. È infatti la mancanza di una comune idea di partito che ha impedito, per tutto il tempo della Prima Repubblica, l’approvazione di una qualunque disciplina legislativa in materia.

Una novità a forte impatto

L’intervento del governo muove invece da un’idea comune di democrazia interna dei partiti, anche se questa viene rimessa a specifiche discipline statutarie di ciascun partito, perché si tratta di una delicata questione di identità del soggetto “partito”. Inoltre dobbiamo prendere atto del fatto che esistono soggetti collettivi interessati ad incidere sulla vita istituzionale italiana, con strumenti anche diversi dai partiti politici.

Siamo infatti in presenza di quattro fatti di grande rilievo: la cultura referendaria; la cultura movimentista tradizionale, fortemente caratterizzata in senso destra-sinistra; la più recente cultura movimentista di Beppe Grillo; la cultura autonomistica locale che si esprime sempre più in liste civiche comunali (mentre dalla sede regionale in su prevalgono le liste di partito).

Anche la stessa complessa vicenda dei soggetti politici operanti nel Parlamento europeo incontra grandi difficoltà nel raccordare le specifiche esperienze nazionali con il processo federalistico europeo in atto.

I motivi del contendere

In un siffatto contesto appare di conseguenza del tutto ragionevole che l’intervento legislativo proposto dal governo stia dando vita ad un dibattito molto acceso. Vi è infatti chi ritiene che si debba procedere esclusivamente al finanziamento delle campagne elettorali; vi è – al contrario – chi ritiene che il finanziamento debba necessariamente coprire l’attività e l’organizzazione dei partiti anche al di là dei passaggi elettorali; vi è chi ritiene che si debba finanziare l’attività dei partiti esclusivamente con risorse private, ignorando così che milioni di cittadini non hanno reddito e pertanto non possono contribuire con il metodo del 2 per mille; vi è di conseguenza chi ritiene che ci si debba limitare al rimborso delle spese elettorali e/o referendarie, accentuando la richiesta di trasparenza.
Tutti questi interventi concernono pertanto la cura e non la diagnosi dei partiti e sembrano tener conto quasi esclusivamente degli umori popolari contrari ai partiti medesimi.



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