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Ior e Apsa nel mirino. Le inchieste che aiutano il Papa

Solo due giorni fa, con un chirografo, Papa Francesco metteva di fatto sotto inchiesta lo Ior. Una commissione pontificia da lui nominata che dovrà fare luce su tutto ciò che avviene all’ombra del torrione di Niccolò V. Nulla potrà ostacolare la raccolta di dati e informazioni da parte dei cinque commissari presieduti dall’ex archivista, il cardinale Raffaele Farina. Il segreto d’ufficio non varrà. Una mossa a sorpresa, che aveva stupito molti, Oltretevere. Pochi si attendevano che il Pontefice agisse in quel modo, con una lettera scritta di proprio pugno solo due settimane dopo la nomina di mons. Battista Ricca quale prelato dello Ior.

Dopo lo Ior, tocca all’Apsa
Ora a scoppiare è il caso dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica guidata dal bertoniano Domenico Calcagno, già vescovo di Savona e voluto in Curia dall’attuale segretario di Stato non senza polemiche e sospetti per quella che veniva definita negli anni scorsi la “bertonizzazione” della macchina governativa vaticana. Accanto a Calcagno (poi creato cardinale), infatti, Bertone volle anche l’allora vescovo di Alessandria, Giuseppe Versaldi, alla testa della Prefettura per gli Affari economici della Santa Sede. E anche per Versaldi più tardi arrivò il cappello cardinalizio.

La “banca centrale vaticana”
L’Apsa è l’ente che amministra i beni della Sede apostolica e fornisce i fondi necessari al funzionamento della curia. Questo è il motivo per cui dispone di ingenti depositi di denaro contante, oltre a migliaia di immobili nel cuore di Roma. Mons. Scarano, che dell’Apsa era funzionario e responsabile del servizio di contabilità analitica, era stato iscritto nel registro degli indagati due settimane fa con l’accusa di riciclaggio. Un fatto che di certo non sarà passato inosservato a Francesco, che da quel momento è passato al contrattacco, accelerando il repulisti che medita. Il Papa vuole vederci chiaro, vuole capire fin dove arriva il torbido che ristagna nei Sacri Palazzi. Le inchieste della magistratura sono quindi le benvenute, se utili a scoperchiare il vaso di Pandora in cui scandali e traffici oscuri hanno convissuto per decenni tra le mura leonine.

Enti incompatibili con la missione di Bergoglio
La missione che Francesco si è dato è chiara: rendere trasparente il Palazzo, sburocratizzarlo, ripulirlo del marcio. I chirografi e gli amoveatur sono uno strumento utile, ma da soli non bastano. Si comprendono più facilmente i suoi ripetuti accenni al fatto che “San Pietro non aveva un conto in banca”, allo Ior che come altri uffici “può essere utile ma fino a un certo punto”. L’Apsa e l’Istituto per le opere di religione, così come sono strutturati oggi, sono incompatibili con la linea del pontificato, si mormora in Vaticano. E non a caso è da lì che Francesco ha iniziato ad agire, raccogliendo i caldi inviti che da più parti erano emersi nelle riunioni riservate del pre-Conclave.
Non a caso, uno dei membri della commissione pontificia sullo Ior, il cardinale Jean-Louis Tauran, dice oggi a Repubblica che “sopra ogni cosa la chiarezza è un bene universale che va perseguito a tutti i livelli. Non solo allo Ior”. Nei prossimi mesi, aggiunge il protodiacono (che rimane anche membro della commissione di vigilanza sull’Istituto per le opere di religione) “lavoreremo per capire, conoscere e rendere tutto più chiaro”. E’ indubbio, dice ancora il porporato francese, “che lo scopo principale del lavoro della commissione è arrivare a una riforma dello Ior. Inutile nasconderlo”.



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