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Italia Aperta: ambizioni, metodi e obiettivi

Mettiamocelo bene in testa: pochi, in Italia, credono nelle soluzioni liberali. I più ne ignorano l’esistenza, o le confondono con un turbocapitalismo senza regole, o la propensione a evadere il fisco, o i governi del Cav.. Non sentivano certo la mancanza di ItaliAperta, come non sentono quella della libertà economica (di cui non saprebbero che farsi), della competizione (che temono) o della meritocrazia (che potrebbe punirli).

Il “modello italiano” è l’opposto: non meritocratico e non liberale. Intere generazioni hanno vissuto sulle spalle di quelle a venire grazie al debito pubblico, che i politici hanno usato per comprare il consenso dei contemporanei con i soldi dei posteri. Un patto scellerato di cui eletti ed elettori sono stati correi, sviluppando coerentemente un sistema di rendite di posizione, difese corporative (di soggetti pubblici e categorie professionali), mercati protetti. Un modello moralmente iniquo, economicamente inefficiente, finanziariamente insostenibile, che ha causato la scarsissima competitività dell’Italia e il debito pubblico catastrofico (2041 miliardi, con circa 90 miliardi di interessi passivi, responsabili per l’intero decifit annuo del paese).

Ma l’antimeritocrazia ha soprattutto l’effetto di bloccare la mobilità della società e penalizzare i migliori. Mentre la globalizzazione abbatteva i muri nel mondo, in Italia ne sono sorti di nuovi: fra lavori garantiti e lavori autonomi e precari, fra imprese che operano in mercati protetti e altre esposte alla concorrenza; fra chi ha una pensione e chi, pur facendo esattamente lo stesso lavoro, si prepara a non averla; fra chi si forma in un sistema scolastico e universitario sempre meno qualificante e chi ha il denaro e le relazioni dei genitori per formarsi nei luoghi giusti. L’einaudiana uguaglianza delle opportunità è una chimera. E se ieri – pur fra mille ingiustizie – le opportunità per i più meritevoli erano in lento ma inesorabile aumento, oggi no. I migliori o i più coraggiosi talvolta emigrano, gli altri più spesso si rassegnano alla mediocrità delle realizzazioni possibili.

L’Italia rischia così di perdere una generazione potenzialmente “eccellente” – perché internazionale, digitale, competitiva – in un circolo vizioso di scarsa concorrenza, scarsa meritocrazia, scarsa competitività. Per interromperlo serve un cambio di sistema, basato su uguaglianza dei punti di partenza, centralità dell’individuo, premio sistematico al merito, alle capacità e all’impegno, in ogni campo dell’attività pubblica e privata, favorendo il confronto e la concorrenza, l’apertura dei mercati e delle frontiere, la trasparenza della pubblica amministrazione.

ItaliAperta potrà aiutare questo cambio di sistema? Sì, credo, a condizione che sappia darsi e mantenere un approccio che sia:

1. Orientato ai fatti: il rating sulle policies può promuoverne correzioni puntuali, laddove il giudizio sulla politica (politics) serve solo a guerre di trincea per spostare decimali di punti negli elettorati.
2. Tecnico/tematico e non ideologico: non significa non avere idee, ma verificarle sistematicamente nella realtà, alla luce delle elevate competenze e della conoscenza concreta dei temi (un po’ il DNA di ItaliAperta).
3. Bottom up e non top down: partire dai problemi/bisogni per arrivare alle soluzioni (salvo poi lasciarne scoprire la connotazione liberale), e non da una visione politica che pretende di avere le soluzioni giuste.

Per tutto questo è indispensabile non essere un partito? Forse no. Però aiuta molto. E il fatto che ItaliAperta non lo sia è quel che si dice una fortunata circostanza. È bene che continui a non esserlo.

Enrico Musso (nella foto), Coordinatore Nazionale di ItaliAperta

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