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La diplomazia dei fundraiser

Negli Stati Uniti c’è una lunga tradizione per cui il Presidente affida la diplomazia nelle mani dei migliori fundraiser. Se sei stato talmente bravo da mettere insieme tanti soldi provenienti da tanti donatori diversi (ciascuno con la sua pretese) lo sarai certamente come ambasciatore. Questa, più o meno, l’idea.

Venerdì le ultime nomine. John Emerson è stato nominato ambasciatore in Germania. Nel 2012 ha co-presieduto il comitato finanziario del sud California. James Costos, gay dichiarato e vice presidente di Home Box Office, diventa ambasciatore in Spagna. Mentre in Danimarca va Rufus Gifford, colui che ha tenuto i rapporti con la (facoltosa e influente) comunità gay durante l’ultima campagna elettorale.

In passato ai “bundlers” (Qui una definizione) sono andati tanti posti chiave della diplomazia statunitense. Tra questi il Regno Unito, il Giappone, l’Australia, il Portogallo e la Francia, per dire i più importanti.

La tradizione statunitense dei fundraiser in diplomazia è un esempio interessante di commistione tra pubblico e privato. Va oltre l’idea di spoil system. Non si tratta, in altre parole, di sostituire i vertici (in questo caso della diplomazia, ma il discorso si può estendere a tutti i posti chiave delle amministrazioni) con persone di fiducia. Si tratta di riconoscere il principio della mobilità dei ruoli all’interno del sistema decisionale pubblico. Attenzione, mobilità a 360 gradi. E quindi anche un privato, un lobbista che ha lavorato alla campagna elettorale, può approdare ai vertici dell’amministrazione federale. Nessuno scandalo. E sempre senza clamore quel privato tornerà all’impresa quando un nuovo Presidente farà nuove nomine.

Ovviamente c’è un presupposto di base perchè tutto funzioni: ed è la massima trasparenza. Delle nomine, dei meriti, e soprattutto delle finanze. Queste soprattutto. E’ la vecchia storia del Chi (ha avuto) Quanto (in denaro e altri beni) e Come (li ha spesi). Non è difficile procurarsi queste informazioni e chiunque può fare i riscontri e le verifiche che vuole. Per esempio venerdì è stato pubblicato l’elenco aggiornato dei redditi di tutti i membri del Congresso (lo trovate Qui). Quello dei senatori è stato pubblicato un mese fa (Qui).

Senza trasparenza il sistema crollerebbe come un castello di carte. L’opacità è un problema serio, ed è purtroppo un nostro problema. Talmente serio, e talmente nostro, che non offre sufficienti garanzie a sostegno della competenza di chi – non moltissimi in realtà, nel sistema ossificato che ci ritroviamo chi sta nel pubblico resta nel pubblico e chi sta nel privato resta nel privato, anche se con motivazioni diverse – passa da un incarico pubblico a uno privato, o viceversa. Da noi devi sempre giustificare, e chiunque può sempre insinuare che ci sia “qualcosa sotto”.

Il risultato? Chi si sposta lo fa sapendo di dover resistere all’onda d’urto dei media, le amministrazioni perdono la possibilità di fare “innesti” utili a migliorare la propria azione, e i talenti si sviluppano, ma senza mai combinare nel proprio curriculum un bagaglio di esperienza maturato in contesti diversi (con le loro sfide, opportunità e limiti). In conclusione, privare i lobbisti delle PA e le PA dei lobbisti (o fundraiser) fa male a tutti. Ma ancora più male fa sapere che la privazione non è conseguenza di una scelta, ma di una necessità che ci viene imposta da un sistema ancora troppo opaco.

 

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