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L’Unione europea non può essere fondata solo su numeri e bilanci

Si è svolta a Roma – per iniziativa del presidente Enrico Letta – una iniziativa destinata ad avere un significato che va molto al di là dell’incontro dei ministri del lavoro e dell’economia di Germania, Francia, Spagna e Italia.

L’aver fatto riunire insieme i ministri dell’economia con i ministri del Lavoro ha infatti reso anche emblematicamente visibile il fatto che – contrariamente a quel che può apparire – il processo di integrazione europea non è fatto solo di numeri.

Si deve infatti rilevare purtroppo che – quantomeno a partire dal Trattato di Maastricht (1991) – viviamo in una sorta di “ossessione numerica” quasi che vi siano soltanto i numeri del Pil e l’equilibrio del bilancio a costituire i punti rilevanti del processo di integrazione europea medesimo.

Anche la più recente dichiarazione di Silvio Berlusconi relativa al vincolo del 3% del deficit (vincolante per il rispetto del trattato medesimo) finisce infatti con l’apparire una questione particolarmente minacciosa perché finirebbe con l’aver rilievo europeo soltanto in un contesto numerico.

Per non parlare degli orientamenti del recentissimo G8, che ha volutamente lasciato un margine di orientamento nazionale nella ricerca degli equilibri di bilancio.
Numeri e persone sono infatti entrambi essenziali: se lo sapevano molto bene i grandi padri fondatori del processo di integrazione europea, lo sanno forse un po’ meno quelli che appaiono oggi i rigidi sostenitori dei numeri, quasi che non vi sia da tener conto anche delle persone.

Ne consegue che la stessa iniziativa del presidente Letta sta assumendo le caratteristiche della ricerca di un nuovo equilibrio tra numeri e persone.
Senza in alcun modo venir meno agli impegni assunti dall’Italia – e non da oggi – proprio in riferimento ai numeri, occorre pertanto che si sappia ricercare – pur sempre nel contesto europeo – un equilibrio che deve necessariamente consistere di entrambi.

Tra un astratto stato di necessità prevalentemente numerico (come ci ricordava ossessivamente lo spread) che aveva condotto al governo Monti ed una inaccettabile tendenza allo spendere più del necessario, appare pertanto sempre più urgente ricercare questo nuovo equilibrio.

Il fatto che il governo Letta sia sostenuto da due partiti – Pd e Pdl – che sono portatori di visioni anche alternative proprio su questo rapporto, fa considerare di conseguenza questa ricerca quasi un simbolo di una qualche visione comune.
Il sostegno di Mario Monti prima, e di Scelta Civica oggi, rende a sua volta sempre più decisivo il ruolo di questo schieramento politico che – proprio in riferimento a questa ricerca – dovrà a sua volta saper dimostrare che non si tratta soltanto di una vicenda parlamentare, ma di una molto più significativa vicenda culturale prima ancora che politica.

Sarà pertanto determinante il modo con il quale – a partire dall’ormai imminente Consiglio europeo di fine giugno – il contesto europeo riuscirà a superare le angustie culturali dello stesso Trattato di Lisbona per approdare ad una vera e propria costituzione europea, quale fu quella che si tentò a Nizza purtroppo senza successo.



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