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Il cristiano secondo Papa Francesco: missionario, attento ai poveri e “rivoluzionario”

Il vescovo di Roma parlava alla sua diocesi, ieri sera nell’Aula Paolo VI in Vaticano. Un appuntamento atteso, il primo di Bergoglio con la sua comunità, quella che dallo scorso 13 marzo l’ha accolto in piazza san Pietro. Ha voluto parlare dall’ambone improvvisato, Francesco. Leggeva il testo preparato, ma spesso alzava lo sguardo sulla platea e improvvisava. Aggiungeva concetti, chiariva meglio ciò che aveva appena spiegato. La sua catechesi, intitolata non a caso “Io non mi vergogno del Vangelo”, è apparsa come una sorta di manifesto programmatico.

Non un’omelia, ma un discorso programmatico

La missione viene prima di tutto, per il gesuita argentino. E’ la nuova evangelizzazione il terreno su cui la Chiesa giocherà nel prossimo futuro la sua sfida più importante. In ciò sta la continuità piena con Benedetto XVI, che a questo tema ha orientato tutto il Pontificato. Bergoglio lo declina a modo suo, da uomo dell’America latina che vede le sette e i movimenti pentecostali attrarre ogni giorno sempre più adepti tiepidi con Roma. L’ex arcivescovo di Buenos Aires era in prima fila, sei anni fa ad Aparecida, nel denunciare il dilagare di tali fenomeni. E’ per questo che oggi insiste sulla necessità di uscire dalle proprie case e di andare lontano, nelle periferie, per portare la parola del Vangelo. Lo ha ribadito anche ieri, nell’Aula Nervi. L’obiettivo, però, “non deve essere quello di fare proseliti: le statistiche le fa Dio, non noi”, ha aggiunto.

“Le periferie non sono solo fisiche, ma anche culturali”

Ma questa volta non si è limitato a parlare di periferie fisiche, ma è andato oltre: “Le periferie sono anche culturali e intellettuali”. Ce l’aveva con i cristiani freddi, con quei settori dove il sensus fidei tende a stemperarsi sempre di più.

Ecco perché “con il coraggio e la pazienza dobbiamo uscire da noi stessi. Uscire dalle nostre comunità per andare lì dove gli uomini e le donne vivono, lavorano e soffrono. Andare lì e annunciare loro la misericordia del Padre”.

Un messaggio che il cardinale vicario di Roma, Agostino Vallini, ha subito colto. Non a caso, salutando il Papa, spiegava come si ponga “la necessità di ripensare il modo di generare la fede nell’ambito di una connotazione missionaria di tutta la pastorale”.

Rivoluzionario sì, ma non pauperista

Il cristiano di oggi, ha detto Francesco, “deve essere rivoluzionario. Se non lo è, non è cristiano”. Un richiamo chiaro ed esplicito a quanto detto più volte da Joseph Ratzinger, secondo cui “la rivoluzione cristiana è la più grande mutazione della storia dell’umanità”. Deve darsi da fare per “andare a cercare le novantanove pecorelle rimaste fuori, e non accontentarsi dell’unica che ci è rimasta vicino”. E il primo pensiero deve andare ai poveri. Anche su questo, però, Bergoglio ha voluto chiarire che il suo richiamo costante alla povertà non è un mero slogan da brandire a ogni celebrazione pubblica sul sagrato di San Pietro: “Andare verso i poveri non significa che noi dobbiamo diventare pauperisti o una sorta di barboni spirituali. Non significa questo! Significa che dobbiamo andare verso chi non conosce Cristo con l’intelligenza e la cultura”. Una povertà che per Francesco non è solo fisica, “ma anche intellettuale”.

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