Non erano più abituati, in Curia, a uno stile come quello di Francesco, il Papa venuto quasi dalla fine del mondo. Non lo erano più almeno da quindici-vent’anni, da quando cioè la salute declinante costrinse Giovanni Paolo II a improvvisare meno, a seguire maggiormente i consigli di medici, segretari e membri della famiglia pontificia. Bergoglio spesso improvvisa: prende i discorsi ufficiali e li dà per letti. Preferisce attivare un dialogo a braccio con gli ospiti di turno. Lo ha fatto una settimana fa con gli studenti delle scuole rette dai Gesuiti in Italia, lo ha fatto giovedì con i partecipanti alla 13esima riunione del Sinodo. A braccio, poi, tiene sempre l’omelia del mattino a Santa Marta. Uno stile che a volte ha creato imbarazzo e piccoli incidenti. Come sullo Ior: è bastato un accenno alla necessità di rendere meno burocratici gli uffici del Vaticano con una battuta rivolta ai dipendenti dell’Istituto per le opere di religione lì presenti, per costringere la segreteria di stato a precisare meglio cosa intendesse il Papa.
L’importante è farsi capire
E’ stata poi la volta della frase sulla “lobby gay” radicata in Curia. La Sala Stampa ha preferito trincerarsi dietro un secco “no comment”, visto che “si trattava di un incontro privato”. Ma Francesco è fatto così, è spontaneo, non ama rituali e cerimoniali stretti. Per lui l’importante è stare in mezzo alla gente, farsi capire, usare esempi che tutti siano in grado di intendere. Cita le massime della nonna, ricorda aneddoti della sua esperienza a Buenos Aires, rievoca le conversazioni avute con anziane signore che andavano da lui a confessarsi. Chiede solo ai suoi ospiti di mantenere il riserbo su quanto viene detto in incontri privati, come ha sottolineato il vaticanista Sandro Magister. Molti rispettano la richiesta papale, altri no (come alcuni membri della Conferenza latinoamericana di religiosi che hanno diffuso a un sito cileno le parole sull’esistenza di una corrente di corruzione nei sacri palazzi. Francesco piace alla gente, che affolla entusiasta le udienze generali del mercoledì.
“Può sembrare un demagogo”
Ma non tutti, nei sacri palazzi, apprezzano il nuovo corso. Come scrive Francesco Grana sul Fatto, se un “giovane vescovo italiano tira un respiro di sollievo e prova non poca soddisfazione per le affermazioni di Papa Francesco sulla lobby gay”, c’è anche chi interpellato sempre dal Fatto critica (mantenendo l’anonimato) lo stile di Bergoglio: “Quando la smetterà di fare il parroco e deciderà di fare finalmente il Papa? Dice sempre le stesse cose. In novanta giorni ha ripetuto gli slogan che a Buenos Aires ormai conoscono a memoria”. E ancora, “è un Papa demagogico”. Concetti non troppo distanti da quelli espressi, sempre al Fatto, da Vittorio Messori: “Non è intenzione di Francesco, però i suoi discorsi vengono dipinti con demagogia e lo stesso Pontefice può sembrare demagogo”. Un esempio dei possibili fraintendimenti che si creano, è relativo a un passaggio dell’omelia di martedì scorso: “Non è corretto dire che ‘San Pietro non aveva una banca’ – aggiunge Messori –, perché la Chiesa non ha mai disprezzato il denaro”. E se non bastasse, dire che la Chiesa è povera “è una cavolata”, spiega ancora lo scrittore cattolico.
Parole non casuali
Un imbarazzo che però deve fare i conti con la realtà, stando a quanto dice su Repubblica il vescovo di Monreale, Michele Pennisi: “Le parole del Papa dicono che si sta rendendo conto di ciò che gli sta attorno”. E sempre sul quotidiano diretto da Ezio Mauro, Paolo Rodari ha raccolto il parere di Gianfranco Girotti, reggente emerito della Penitenzieria apostolica: “Le correnti, le ripicche e in generale quella che anche il Papa chiama la ‘corruzione’ interna esistono da tempo ed estirparle non è facile”. Uno stile nuovo che si è fatto notare anche giovedì: il Papa annunciava la prossima pubblicazione dell’enciclica sulla fede, un lavoro “a quattro mani con Benedetto XVI”. Ma dalla Sala stampa vaticana, a fine maggio, avevano fatto sapere che Ratzinger non era assolutamente coinvolto nel progetto.