Giorgio Napolitano e Papa Francesco si erano già incontrati, seppur brevemente. Era il 19 marzo e il presidente della Repubblica italiana apriva la teoria di teste coronate e capi di stato giunti a Roma per salutare il nuovo Pontefice al termine della messa di insediamento. Due mesi e mezzo dopo, Napolitano si è recato in Vaticano in visita ufficiale. Il protocollo è stato pressoché identico rispetto ai tanti incontri con Benedetto XVI (al quale il presidente ha rivolto un “grato, sentito pensiero e augurio”).
Le uniche differenze, nell’abbigliamento: niente frac per l’inquilino del Quirinale, niente abito corale per il Papa. Al termine del colloquio privato durato venticinque minuti, c’è stato il tempo per due brevi discorsi. Niente improvvisazioni da parte di Francesco, ma la semplice lettura di un testo scritto in precedenza in cui il Pontefice ha ricordato anche “l’impegno determinante, leale e creativo dei cattolici italiani nei decenni trascorsi”.
Più distanza tra Vaticano e politica italiana
Come osservava venerdì sulla Stampa il vaticanista Andrea Tornielli, è probabile che il cambio di pontificato possa segnare una maggiore distanza dei sacri palazzi dalle vicende politiche italiane. Una traccia in tal senso è data dalla meditazione che il Papa aveva tenuto lo scorso 23 maggio in san Pietro davanti ai vescovi italiani. Un discorso tutto focalizzato sulla figura del vescovo: “Il pastore non si trasformi in un funzionario o in un chierico di stato preoccupato più di sé, dell’organizzazione e delle strutture, che del vero bene del popolo”, aveva detto Francesco quel giorno. Prima, salutando a braccio il cardinale Bagnasco, aveva detto che “il dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche è un compito vostro”. Della conferenza episcopale italiana, non della segreteria di stato, che aveva cercato negli anni scorsi di avocare a sé i rapporti con le istituzioni politiche italiane.
Bergoglio e la “guerra de Dios”
Tutto da verificare sarà quindi l’atteggiamento della Santa Sede riguardo le grandi questioni (soprattutto legate alla bioetica e alle campagne per l’approvazione di leggi a favore delle unioni civili) che hanno sempre visto il Vaticano in campo. Le posizioni di Bergoglio sono chiare, è sufficiente ripercorrere quanto da lui detto e scritto più volte in Argentina. Benché attivo nel difendere la sacralità del matrimonio tra uomo e donna – arrivò a invocare una “guerra de Dios” contro il progetto di approvare le nozze tra omosessuali – l’ex arcivescovo di Buenos Aires non è uomo da marce in strada. Il suo profilo tende a essere più defilato, a non legarsi a questioni politiche particolari e locali come possono essere quelle italiane.
La prima volta di Bonino e il “caso-Marino”
Non a caso, nel Palazzo apostolico non c’è traccia di alcun imbarazzo per la presenza di Emma Bonino, ministro degli Esteri del governo Letta, nella delegazione che ha accompagnato Napolitano. Anzi, con la leader radicale in Vaticano sperano di poter avviare al più presto un confronto sulle più grandi questioni internazionali, a cominciare dalla delicata situazione nel Vicino oriente che minaccia la comunità cristiana lì presente. Un primo banco di prova per i nuovi rapporti tra le sponde del Tevere potrebbe esserci già tra qualche giorno, se Ignazio Marino dovesse diventare Sindaco di Roma. Il vaticanista dell’Espresso Sandro Magister ricordava qualche giorno fa che “prima ancora che Papa, Francesco ama definirsi vescovo di Roma”. E’ quindi “difficile che stia zitto se Marino, eletto sindaco della città, darà seguito ai suoi propositi di cattolico adulto”.