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Repubblica indaga sull’Agenda digitale stile Letta

Stefano Carli su Repubblica si è sforzato a trovare una definizione: “Super consulente ad personam del premier Enrico Letta”. Dal giorno in cui il presidente del consiglio ha comunicato la nomina di Francesco Caio a mister agenda digitale è stato tutto un chiacchiericcio.

Di cosa si occuperà? In che termini sta rispetto all’Agenzia digitale di Agostino Ragosa?, sono stati ad esempio alcuni degli interrogativi di Antonio Palmieri, deputato e responsabile Internet del Pdl.

Un decreto per rilanciare l’Agenda digitale

Il decreto del Fare approvato dal governo Letta ha aggiunto altri particolari relativi soprattutto alla governance. Accogliendo le richieste di quanti gli chiedevano di “metterci la faccia” sarà Letta a presiederne la Cabina di regia. Sotto la sua supervisione vi sarà oltre a Caio un team di esperti (Francesco Sacco, Luca De Biase, Bendetta Rizzo). Il tutto a supporto del lavoro di Agostino Ragosa per l’Agenzia per l’Italia digitale, sottoposta unicamente alla vigilanza del Presidente del Consiglio.

Le funzioni del board di Caio

Repubblica spiega le due funzioni del board di Caio: “Da una parte si dice che supporteranno anche l’Agenzia. Quindi diventano un soggetto di comunicazione diretto tra Ragosa e Letta (…) E Palazzo Chigi stesso ha viceversa una possibilità di dialogo e quindi di messa a punto delle decisioni da adottare volta per volta direttamente con l’Agenzia senza passare per la mediazione dei ministri”.

Il corto circuito voluto da Letta e i “due partiti”

“Funzionerà questa specie di corto circuito voluto da Enrico Letta?”. È questo il punto centrale della questione secondo Carli sull’inserto Affari&Finanza del quotidiano la Repubblica che vede contrapporsi due “partiti”: da una parte “ci sono esponenti di punta del Pdl, come il responsabile all’innovazione Antonio Palmieri o Deborah Bergamini, che sarebbero in questo sulla stessa linea per cui si sono espressamente spesi Paolo Gentiloni, Franco Bassanini o Linda Lanzillotta”, tentando quindi di spingere verso una presa di responsabilità politica unica da parte del Governo a Palazzo Chigi.

Dall’altro lato, il fronte capeggiato dal viceministro alle Comunicazioni Antonio Catricalà: “L’idea di Catricalà – si legge su Repubblica – è che non ci sarebbe stato bisogno di novità e che sarebbe invece bastato imprimere più velocità ai processi così come erano stati disegnati in origine”.

Il giudizio di Riccardo Luna

Per capire come il nostro sia a volte considerato il Paese dell’innovazione a parole si può leggere il post di Riccardo Luna che rispolvera il lento percorso dell’Agenda digitale dal 2011 ai nostri giorni. Dal giorno cioè in cui il governo Monti ne parlò come un’assoluta priorità, ad oggi, in cui la stessa priorità è servita, secondo Luna, a creare soltanto parole e poltrone.
Luna poi si rivolge al piccolo “think tank” che sosterrà Caio in quest’ultima missione voluta dal governo Letta: “Siamo sicuri che dopo tanto parlare ci fosse bisogno di altri thinkers, pensatori cioè, per l’Agenda digitale e non di makers, persone che fanno?”.

I cinguettii di Sambuco
Dello stesso avviso è Roberto Sambuco, Capo Dipartimento comunicazioni del Ministero Sviluppo Economico (‏@RobertoSambuco) che sulla scia di Luna cinguetta: “E’ tempo dei makers e non dei thinkers. Non vorrei fossimo invece dentro un red tape”.
Su Twitter il dibattito si anima: “Con un Mr. #Agendadigitale part-time e constatata l’incompetenza e l’insensibilità del Governo, temo l’ennesima illusione”, scrive Carlo Alberto Carnevale Maffè (@carloalberto), docente di Strategia alla Sda Bocconi e osservatore della digital economy.
E per Maffè per innovare in Italia serve altro.“All’#AgendaDigitale servono Diavoli che scendano nell’Inferno dei Processi, non Santi che salgano nel Paradiso dei Decreti”.


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