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Rosy Bindi e il fronte del “No al presidenzialismo”

“Rispettare e preservare la lettera e lo spirito della Costituzione. E rifiutare qualunque scorciatoia presidenziale che ne stravolgerebbe l’impianto e i valori”. Non lascia spazio a dubbi l’imperativo che ha animato a Montecitorio l’iniziativa “Cambiare con la Costituzione”, promossa da “Democratici Davvero”, l’area del Pd che fa riferimento a Rosy Bindi e che ha coinvolto 60 parlamentari di diversi schieramenti, da Sinistra e libertà alla componente democratico-cristiana di Scelta civica.

Le voci del Partito democratico e di Sinistra e libertà
È la presidente del Pd a spiegare come “le riforme che permettano alla democrazia italiana di operare nella crisi in atto devono essere realizzate nel solco di una Carta che resta la più bella del mondo”. Per questo motivo il mandato conferito al Comitato dei 40 parlamentari dal disegno di legge costituzionale del governo viene bocciato senza appello. “Ricordo che il Parlamento ha poteri di puntuale revisione della Carta e non può riscrivere un nuovo documento”. Come avverrebbe con la scelta del modello francese, “scorciatoia insidiosa rispetto alla forma di governo parlamentare imperniata sulla centralità delle Camere e sulla rappresentanza dei partiti e delle formazioni sociali”.

La vera priorità si chiama legge elettorale: “Perché limiti e mancanze gravi non risiedono nella Costituzione ma nella realtà politica”. Ragionamenti sviluppati da Gennaro Migliore, presidente del gruppo di Sel a Montecitorio, il quale osserva che “introdurre in Italia un modello contrario e alieno rispetto alla nostra storia rappresenterebbe la paradossale apoteosi del ventennio berlusconiano nel suo cardine dell’uomo solo al comando proprio nella fase del declino irreversibile del Cavaliere”.

Le critiche del politologo
Tra gli studiosi chiamati ad approfondire le ragioni della contrarietà all’importazione delle istituzioni della V Repubblica francese, lo storico del pensiero politico all’Università di Bologna e senatore del Pd Carlo Galli. Ad avviso del quale accogliere l’idea di una riforma semi-presidenziale in virtù di uno scambio con il maggioritario uninominale a due turni è fuorviante. “Perché il modello francese, creato da Charles De Gaulle per superare la palude assembleare della IV Repubblica impotente di fronte alla crisi dell’Algeria, ha fatto leva su una forma di autoritarismo democratico in chiave plebiscitaria. Una moderna monarchia elettiva che ha creato un governo a due teste straripante e preponderante sul Parlamento, ridotto a un ruolo marginale”. Adottando quel modello nel nostro paese, evidenzia Galli, si perderebbe il potere neutro e di garanzia del Presidente della Repubblica. E andremmo a eleggere non un Capo di Stato che governa ma un padrone. “Se vogliamo muoverci in una direzione presidenziale, l’unica strada ragionevole è quella nordamericana, imperniata sul bilanciamento fra esecutivo e legislativo fortissimi e sull’organizzazione federale dello Stato. L’altra via possibile contempla il modello del Cancellierato tedesco, con un primo ministro che può nominare e revocare i ministri ma non sciogliere le Camere”.

Il j’accuse del giurista
Ancor più radicale nelle sue argomentazioni contro la riscrittura della Costituzione secondo il modello d’Oltralpe è Luigi Ferrajoli, fra i più prestigiosi filosofi del diritto. A preoccupare il giurista è un problema di metodo, che tocca le radici del costituzionalismo: la trasformazione del potere costituito – il Parlamento – in potere costituente dotato del mandato abnorme di redigere un nuovo testo fondamentale. Un fattore che “viola l’articolo 1 della Costituzione, poiché in uno Stato di diritto nessun potere costituito è sovrano se non il popolo. E che stravolge la logica del referendum costituzionale, finalizzato a singole tematiche, non al voto su un progetto omogeneo per cui si trasformerebbe in plebiscito”. Riguardo ai contenuti, si chiede con inquietudine il filosofo del diritto, possiamo ammettere l’introduzione del semi-presidenzialismo in un paese che ha conosciuto il fascismo e poi la farsa populista, anti-politica e anti-parlamentare di Berlusconi e Grillo?

Il monito dell’uomo di scienza
Animato dalla volontà di allargare anche al Movimento Cinque Stelle il fronte di chi osteggia nel metodo e nel merito il percorso avviato dal governo è Giovanni Bachelet, fisico teorico all’Università La Sapienza e già parlamentare del Pd. Ma ciò non basta. È indispensabile una visione propositiva a partire dalla riforma elettorale, “che deve essere liberata dalla logica dell’accordo con il Cavaliere e non può tollerare nostalgie e richiami al proporzionale della prima Repubblica, che oltre all’asse Craxi-Andreotti-Forlani gettò i semi del fenomeno Berlusconi”.

 

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