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Boldrini contro Marchionne, ordinaria faziosità istituzionale

Ordinaria faziosità istituzionale: è il commento, tranchant, di Michele Magno, già dirigente sindacale e politico di spicco nella Cgil e nel Pci, ora editorialista e saggista, al rifiuto della terza carica dello Stato di visitare lo stabilimento Fiat in Val di Sangro. Decisione che ha suscitato polemiche per il riferimento fatto da Laura Boldrini nella sua missiva alla questione dei diritti dei lavoratori.

Laura Boldrini rifiuta l’invito di Marchionne, solo uno sgarbo istituzionale?
Si è trattato di una tempesta in un bicchier d’acqua: è un episodio di ordinaria faziosità istituzionale, non è il primo e non sarà l’ultimo. L’impressione è che la Presidente della Camera abbia degli atteggiamenti da sacerdotessa dei diritti, degli ultimi e dei penultimi. Credo ci abituerà a tali esternazioni, su cui però influisce anche una certa imperizia mista a ingenuità politica.

In che senso?
Nel senso che una personalità più smaliziata, se avesse accettato l’invito a recarsi in Val di Sangro, avrebbe avuto la possibilità lì di dire le banalità che ha scritto nella sua lettera. Invece, influenzata un po’ troppo da chi l’ha eletta, ha giocato in una specie di candore istituzionale: certamente sgradevole ma a cui non attribuirei troppa importanza.

Fabio Scacciavillani, capo economista del Fondo di investimento dell’Oman, oggi sul Foglio ha detto che da quella lettera emerge “lo zombie che da 40 anni tenta e purtroppo riesce a prevalere sulle idee”. 
Semplicemente la Boldrini ancora non ha compreso che un parlamentare non ha vincolo di mancato, tanto più il Presidente di una Camera. Attribuisco queste scelte improvvide a un difetto di cultura politica e istituzionale, che si somma ad una faziosità politica. Che, o la si ha, o non la si ha. Ma chi ce l’ha, se la tiene.

Quanta ipocrisia c’è nei commenti e nelle valutazioni sul caso Fiat?
In Italia si continua a discutere di Fiat come se fosse un’azienda italiana e chiudiamo gli occhi sul fatto che invece ormai è un’azienda americana. Che ha il suo centro negli Usa e degli stabilimenti in diverse aree geografiche del mondo, tra cui l’Italia. Non dimenticherei mai che senza Marchionne non ci sarebbe neanche uno straccio di automobile in questo Paese. Naturalmente poi si può discutere su quello che è stato definito il “neo assolutismo” imprenditoriale del manager.

È quell’impronta taylorista nei rapporti di fabbrica che produce discrepanze interne?
Ne potremmo anche parlare, ma ciò che conta è che senza Marchionne la Fiat avrebbe portato i libri in Tribunale. Con la scomparsa del settore automobilistico italiano.

Se la libertà contrattuale dei grandi investitori viene compromessa, allora questi continueranno a preferire altri Paesi al nostro?
Molte grandi imprese vanno via dall’Italia: e non solo per un problema di costo del lavoro. Molte altre potrebbero investire da noi, ma si guardano bene dal farlo per le condizioni in cui versano la giustizia e la Pubblica Amministrazione. Senza dimenticare il caso esistente nella struttura delle relazioni industriali.

Quale l’errore commesso da Marchionne?
Non si è limitato a vincere, ma ha voluto stravincere, interpretando alla lettera il vecchio art. 19 dello Statuto dei lavoratori. E impedendo alla Fiom di essere presente nella Rsa. In questo c’è stato un atteggiamento arrogante da parte del management del Lingotto.

Ma la sentenza della Corte Costituzionale gli impone un cambio di passo, o no?
Lui ha inteso rompere con uno schema del passato circa la centralità della contrattazione nazionale, non più adeguata alle esigenze della flessibilità del lavoro. È un punto ormai fermo, rispetto al quale non si può tornare indietro.

È vero ciò che sostiene la Fiom, ovvero che dopo quella sentenza, la Costituzione entra in fabbrica?
Innanzitutto non è vero, in quanto lo Statuto ha un rapporto solo indiretto con la Carta che, in particolare la Cgil, non l’hai mai voluta nel posto di lavoro. E perché non è mai stato applicato l’art. 39, senza contare il 46 che riguarda la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Ma credo che dopo la pronuncia della Corte serva un ulteriore passo, per far fare alle relazioni industriali un salto decisivo.

Ovvero?
Recepire per legge l’accordo interconfederale sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale, siglato lo scorso primo giugno e in corso di limatura: stabilire per legge che la coalizione sindacale maggioritaria in un’azienda ha il potere di stipulare accordi vincolanti per tutti.

twitter@FDepalo

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