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Il Bonino pensiero su Egitto, Siria e Tunisia

“Il Risveglio arabo è un percorso fatto di scivoloni, passi indietro, aspirazioni che non riescono a organizzarsi, scontri intestini al mondo sunnita e sciita. Ma non è tramontato in un inverno siberiano”. Esortando l’Unione Europea e le opinioni pubbliche occidentali ad abbandonare le illusioni ingenue sui sommovimenti che hanno coinvolto il Nord Africa e il Medio Oriente dalla primavera 2011, Emma Bonino ha confermato di fronte alle Commissioni Esteri di Camera e Senato la sua fiducia nella possibilità dell’incontro tra Islam e Stato di diritto democratico, “che non equivale a un mero passaggio elettorale poiché non basta il voto per realizzare la separazione dei poteri garantire le libertà delle minoranze”.

Le incognite dell’Egitto in fermento 

Coerentemente con la strategia assunta a livello Ue, il governo italiano punta a garantire all’Egitto un percorso di transizione politica inclusivo e aperto a tutte le forze in campo compresi i Fratelli musulmani, un trattamento equo e non arbitrario del deposto presidente Mohamed Morsi tuttora agli arresti, la fine delle misure coercitive verso persone detenute per motivi politici all’indomani del colpo di Stato dell’esercito, la transizione verso nuove elezioni nell’arco di nove mesi. Prospettiva che “non trova riscontro nel comportamento delle autorità del Cairo, aggravato dalle prese di posizione dei militari sulla volontà di sgombero armato degli assembramenti della Fratellanza”. L’incandescenza dello scenario egiziano è acuita dalla polarizzazione dell’opinione pubblica tra chi saluta l’intervento preventivo dell’esercito contro colpi di mano violenti da parte degli islamisti e chi lo vede come un golpe inquietante. Un ruolo più coraggioso dell’Unione Europea nella nazione nordafricana viene richiesto dal parlamentare del Pd Enzo Amendola: “Proprio perché il Risveglio arabo ha rotto la trasmissione familiare, patrimoniale, militare del potere che si perpetuava da decenni, compito dell’Ue è bilanciare in direzione democratica l’influenza crescente delle potenze arabe regionali a partire dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti”.

Gli scenari preoccupanti in Libia e Tunisia 

Nello Stato sottoposto fino a tre anni fa alla tirannide di Muhammar Gheddafi si registra “un preoccupante deterioramento delle condizioni di sicurezza, come rivelano gli assalti e i saccheggi a danno della moderata Alleanza delle forze nazionali di Mahmoud Jibril e dell’islamico Partito per la giustizia e la costruzione, gli attentati a militanti ed esponenti politici, le esecuzioni di detenuti per reati di terrorismo. Con riflessi evidenti su un flusso migratorio spesso organizzato dai circuiti criminali”. Altrettanto strategica è la Tunisia, il cui cammino verso lo Stato di diritto e la democrazia rappresentativa è stato funestato dai recenti omicidi terroristi e jihadisti di prestigiosi politici laici di opposizione. Nel giro di sei mesi, durante il dibattito sulla nuova Costituzione, sono stati assassinati Mohamed Brahmi, dirigente del progressista Fronte Popolare e deputato dell’Assemblea costituente, e Chokri Belaid, numero due della stessa formazione laica e di sinistra.

Spiragli di speranza in Medio Oriente e in Iran

Animata da “speranza e impegno” è la ripresa del processo di pace tra governo di Israele e Autorità nazionale palestinese tramite dialoghi diretti negli Usa. Una possibilità che a giudizio di Bonino non verrà messa in crisi dall’inserimento del braccio armato di Hezbollah nella black list  anti-terrorismo dell’Ue. Approvata dal titolare della Farnesina a seguito dell’attentato del luglio 2012 rivendicato dai guerriglieri sciiti filo-iraniani contro l’autobus di turisti israeliani nella cittadina di Burgas in Bulgaria, l’iniziativa “prefigura un processo volto a ottenere cambiamenti per la stabilità del Libano, in cui le elezioni parlamentari sono state rinviate di 17 mesi e dove milioni di rifugiati siriani e palestinesi possono rendere incandescente la situazione. Ma esso non esclude il proseguimento del confronto politico dell’Ue con Hezbollah”.

La responsabile degli affari esteri appare consapevole delle critiche sollevate da più parti contro la decisione presa in sede intergovernativa, e di cui si fanno portavoce Pier Ferdinando Casini, che trova “incomprensibile la scelta di liquidare come terrorista una componente significativa se pur controversa della società libanese”, Mario Marazziti di Scelta civica, Claudio Fava di Sinistra e libertà, secondo cui “la lista nera dell’Europa non può trasformarsi in giudizio universale mutevole nel tempo”. L’unica voce dissonante proviene da Fabrizio Cicchitto: “Hezbollah in Libano ricorre abitualmente a metodi violenti e arbitrari, e ha spinto la sua azione aggressiva oltre i confini siriani”.

Realtà in cui invece a giudizio della responsabile della Farnesina emergono segnali incoraggianti e sorprendenti è l’Iran, con “l’altissima partecipazione popolare alle recenti elezioni presidenziali che dovrebbe essere guardata con rispetto e attenzione, senza rompere alleanze internazionali del nostro paese”.

L’ammissione di impotenza verso la tragedia della Siria 

Più dell’Egitto è la guerra in Siria a suscitare grande inquietudine nel capo della diplomazia italiana: “Alla recrudescenza della repressione attuata dal regime di Bashar al-Assad si contrappone l’offensiva delle frange qaediste interne al fronte degli insorti”. L’idea della conferenza di dialogo “Ginevra 2” favorita da un contatto diretto con la Russia non è abbandonata. E alle Nazioni Unite si sta lavorando a una risoluzione limitata al terreno umanitario. Mentre non vi sono novità sul rapimento del giornalista de La Stampa Domenico Quirico e sulla scomparsa del gesuita Paolo Dall’Oglio, in prima linea nel denunciare le atrocità perpetrate dal governo di Damasco.

Ma il cuore politico della crisi siriana viene affrontato grazie agli interrogativi sollevati da Cristina De Pietro e Marta Grande del Movimento Cinque Stelle: “Quale è l’intenzione dell’Italia rispetto all’iniziativa Usa di armare i ribelli siriani in cui sono attivi elementi terroristi e integralisti? Quale è la nostra posizione sull’ipotesi di una No fly zone? È auspicabile un intervento militare diretto per evitare una deriva balcanica del conflitto?” Le domande toccano le convinzioni e la storia radicale del ministro degli esteri, che nel 2001 non aveva esitato ad appoggiare l’azione armata statunitense contro il regime dei Talebani in Afghanistan. E negli anni Novanta aveva sfidato la realpolitik e il pacifismo di ogni tendenza per promuovere l’uso della forza allo scopo di fermare l’aggressione, la pulizia etnica, i crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati dalla Serbia di Slobodan Milosevic e dalla Repubblica serbo-bosniaca di Radovan Karadzic e Ratko Mladic contro i cittadini musulmani della Bosnia e poi del Kosovo.

Il richiamo all’imperativo dell’ingerenza negli affari interni di uno Stato per difendere con la forza le libertà e l’umanità palesemente calpestate oggi trova un limite invalicabile: “L’Italia resta contraria alla proposta di armare i ribelli e a ogni tipo di intervento armato, pur con tutto il dolore per i massacri e i diritti umani violati. Non ve ne è la possibilità in un contesto che vede la Russia indiscussa protagonista e pervicacemente ostile all’uso della forza contro Assad”. Anche nel 1995 però Mosca esercitava un ruolo internazionale di spicco nella veste di grande protettrice di Belgrado, quando osteggiò inutilmente i raid aerei della Nato per porre fine all’assedio serbo-bosniaco di Sarajevo. E così nel 1999, quando non riuscì a impedire i bombardamenti dell’Alleanza atlantica sulla Serbia impegnata nella brutale repressione della popolazione albanese del Kosovo.


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