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I Cinque Stelle sulla riforma elettorale si contraddicono

Tranne gli sporadici appelli lanciati da Beppe Grillo per ripristinare il Mattarellum, non è possibile trovare nel programma Cinque Stelle traccia della riforma elettorale. Nei venti punti scritti dal comico ligure poche settimane prima del voto di febbraio risaltano poche parole suscettibili delle più svariate interpretazioni: “Elezione diretta dei candidati al Parlamento da parte dei cittadini”.

Ma se si ricostruisce la storia della campagna “Parlamento pulito” promossa nel settembre del 2007 a supporto del primo V-Day, si può trovare una spiegazione. Le tre proposte di legge di iniziativa popolare su cui in tre mesi vennero raccolte più di 350mila firme prevedevano, oltre all’ineleggibilità dei candidati condannati in via definitiva e al limite di due mandati per deputati e senatori, la reintroduzione della preferenza nella legge Calderoli. Un obiettivo tradotto dai senatori Cinque Stelle in un organico progetto di legge presentato il 10 aprile 2013 in Commissione affari costituzionali di Palazzo Madama.

Clamorosa contraddizione
È una singolare nemesi storica che la formazione animata dall’aspirazione di una palingenesi integrale della vita pubblica si richiami al meccanismo di voto cardine della prima Repubblica. Finora nelle Cinque Stelle nessuno ha tentato di proporre il voto maggioritario nei collegi con un unico eletto, che governa da secoli la vita pubblica in paesi come gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, l’Australia, e regola da decenni le dinamiche politiche della V Repubblica in Francia con la variante del doppio turno. Che ha dispiegato Oltralpe la sua capacità di aggregare e semplificare in due schieramenti omogenei e coerenti una realtà partitica frastagliata come la nostra. Non si tratta di regole lontane, se è vero che il 18 aprile 1993 un referendum abrogativo finalizzato a introdurre per il Senato un meccanismo elettorale di tipo britannico fu approvato con l’83 per cento dei voti.

La spiegazione degli esperti
La vaghezza degli esponenti Cinque Stelle sulla scelta del meccanismo di voto viene argomentata in modo eterogeneo dai costituzionalisti e politologi interpellati. Paolo Armaroli individua le ragioni di tale elasticità nell’orizzonte di “democrazia diretta velleitaria che porterà il M5S allo sbocco dell’Uomo Qualunque”. Per Carlo Fusaro “nella critica generalizzata alla realtà partitica e nell’assenza di un interesse a governare con altri gruppi, il M5S non avverte il bisogno di coniugare la rappresentatività con l’esigenza di stabilità. Continuerà ad attestarsi su un’ottica di opposizione permanente e pregiudiziale optando per la conservazione di un meccanismo fotografico della frammentazione partitica”. Ma oggi che le adesioni popolari lo ha trasformato in uno dei tre protagonisti della competizione per il governo e nell’eventualità che volesse costruire una classe dirigente autonoma in grado di sostituirsi all’establishment, “potrebbe aprire una riflessione sulla validità del maggioritario di collegio”.

Aderente ai riflessi dei meccanismi di voto sulle dinamiche partitiche è Fulco Lanchester: “Una riforma di stampo francese potrebbe spiazzare le Cinque Stelle come forza anti-sistema fra i due turni. Un sistema uninominale all’inglese rappresenterebbe un regalo che nessun’altra formazione sarebbe intenzionata a fare. Mentre il Porcellum, che può portare all’implosione dell’ordinamento esistente, favorirebbe il loro gioco”. Tesi che riecheggia nelle parole di Stefano Ceccanti: “Alla luce della strutturazione carismatica del movimento di Grillo, viene il dubbio che i suoi parlamentari siano interessati a cambiare il meccanismo in vigore, plasmato su una visione verticistica e piramidale che mal si concilia con la competizione maggioritaria di collegio”. Ma vi è anche una motivazione storico-culturale: “Tutti i movimenti di contestazione radicale ritengono che la soluzione non sia nella riforma istituzionale del regime politico, ma nel loro ingresso in forza al suo interno. Tentazione che condusse Umberto Bossi nel giugno del 1991 a osteggiare a fianco di Bettino Craxi il referendum sulla preferenza unica, avvertito dal Carroccio come un’alternativa insidiosa di rinnovamento e moralizzazione”.

A mettere in risalto la rispondenza della legge Calderoli al rafforzamento di chi “tiene le redini del M5S, in cui un marchio forte identificato con il volto del leader prevale su parlamentari poco riconoscibili”, è Salvatore Vassallo, che fornisce una spiegazione psicologica e sociologica: “Non parlano di regole elettorali perché il tema non porta voti, mentre si concentrano su parole d’ordine popolari per un elettorato che non ha dimistichezza con le tecniche di voto. Se fossero coerenti con le proprie premesse dovrebbero sposare la causa del maggioritario uninominale, che consente un legame di conoscenza e responsabilità senza far lievitare i costi. Mentre in passato potevano temere di non conquistare alcun collegio, oggi hanno buone ragioni per contendere ogni seggio a Pd e Pdl”.

La carta in mano al M5S
Se riuscissero a superare la loro ambivalenza, le Cinque Stelle potrebbero offrire una risposta efficace a destra e a sinistra. Perché il progetto di riforma elettorale concepito e presentato dal Pd, pur evocando il doppio turno recupera la logica del Mattarellum, assicurando con il 30 per cento di rappresentanti designati in liste proporzionali di partito una rete di salvataggio ai candidati sconfitti nei collegi e proteggendo le oligarchie dai rischi di bocciatura impietosa. Se poi i parlamentari M5S abbandonassero il pregiudizio anti-presidenziale e saldassero a un meccanismo di voto francese il suo corollario istituzionale che è l’investitura popolare del Capo dello Stato con poteri di governo, toglierebbero al centro-destra una bandiera propagandistica mai tradotta in realtà.



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