L’11 settembre dell’intelligence si è compiuta in questi giorni. Senza un’azione dirompente e assassina come fu nel 2001 con l’abbattimento delle Torri gemelle, il caso Datagate (unito a Wikileaks) rappresenta un fatto destinato a produrre effetti “storici” non solo nel campo dello spionaggio ma anche e soprattutto delle relazioni internazionali.
Se la caduta del muro di Berlino nell’89 e l’ascesa di Al Qaeda culminata proprio nel 9/11 hanno rappresentato fratture rispetto al precedente modo di intendere gli equilibri globali, così oggi si è determinata la condizione per un nuovo scenario.
Torna infatti la guerra fredda. Non la stessa di quella basata sulla deterrenza nucleare e alimentata dalle due potenze ideologiche, Stati Uniti e Urss. L’Unione Sovietica non c’è più: al suo posto, come Paese interprete di una nuova politica “imperiale” vi è la Cina e al suo fianco una serie di alleati che coincidono di fatto con la coalizione anti-Usa.
In questo contesto – e la vicenda di Snowden è altamente rappresentativa – una novità (per modo di dire) è data dallo schieramento della Russia di zar Putin. L’aver svelato segreti (di Pulcinella) e averli saputo rendere esplosivi è stato per i neo-bipolaristi mondiali come aver fatto detonare un’arma atomica. È o potrebbe essere, speriamo di no!, l’inizio di uno scambio di cortesie alquanto pericoloso.
Già oggi i governi orientali di Cina e Russia provano ad abbassare i toni, ma non vi è dubbio che sarà difficilissimo fare in modo che il caso Datagate venga depotenziato come un incidente di percorso.
Un po’ diversa è la situazione dell’Unione Europea che essendo in crisi e/o in campagna elettorale (vedi la Germania) trova comodo erigere una reazione ipocrita dinanzi al clamore mediatico per eventuali e non confermate azioni di cyber-spionaggio ai danni di proprie sedi diplomatiche.
In un momento in cui non esiste una identità europea (e neppure uno straccio di solidarietà interna), l’esercizio di vittimismo contro l’alleato cattivo risulta come una manna dal cielo. Certo, a leggere i nuovi lanci di agenzie da Berlino, la Germania per prima capisce di non poter troppo scherzare e sembra voler fare una timida ma convinta marcia indietro. Vedremo.
Resta il fatto che un certo sentimento antiamericano tradizionalmente presente in Europa – e tanto più in Italia – sembra aver ripreso fiato. Addirittura vi è chi vorrebbe mettere in discussione i negoziati per un trattato commerciale fra le due sponde dell’Atlantico. Anche qui, vedremo se questi slanci troveranno riscontri fattuali. Resta la constatazione, amara, di una grande nazione democratica (gli Stati Uniti) sotto attacco e dei suoi piccoli alleati europei preoccupati solo di difendersi presso le proprie opinioni pubbliche.
Il mondo torna a dividersi in due blocchi e la Ue non si schiera né prova ad unire. Semplicemente, si nasconde dietro la sua ipocrisia. Pechino e Mosca ci guardano e ridono ma noi, a Roma, come a Parigi o Berlino, abbiamo ben poco di cui rallegrarci.