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“Fare il Pd”, così gli ex Ds preparano l’offensiva anti-Renzi

Rifiutano di essere considerati i promotori di una mega-corrente ostile a Matteo Renzi. E respingono l’idea di “un assemblaggio di vecchie componenti che si aggregano per asserragliarsi in un fronte di resistenza volto a neutralizzare tramite la stesura di regole ad hoc la popolarità di qualche personaggio”. Eppure nel convegno “Fare il Pd”, promosso al Nazareno dagli esponenti del Partito democratico delle aree legate a Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema, e ai “giovani turchi”, si respirava in modo tangibile un’atmosfera di persistente diffidenza se non aperta avversione nei confronti delle ambizioni del primo cittadino di Firenze.

Un clima di ritrovata unità fra le anime storiche dei Democratici di sinistra, e forse della corrente Pop-Dem di Beppe Fioroni e Franco Marini, a riprova di un’attenzione e interesse che potrebbero tradursi in alleanza politica congressuale nel segno dell’orgoglio delle radici popolari e del radicamento sociale contro la formazione “liquida e americana” vagheggiata da Renzi. Un parterre quasi completo dunque, con poche eloquenti eccezioni di rilievo. Mancavano, infatti, oltre a Renzi e ai parlamentari a lui vicini, Walter Veltroni e il gruppo dei liberal, gli ulivisti prodiani, e Fabrizio Barca.

Bersani, Mucchetti e Fioroni i più agguerriti contro Renzi
Il tentativo di aggregare una vasta area del Pd attorno a una piattaforma alternativa a quella del sindaco del capoluogo toscano vive la sua fase embrionale. Per ora la finalità dei promotori di “Fare il Pd” è fissare paletti ben precisi: “Distinguere nettamente il futuro leader del Partito democratico, che dovrà dedicarsi esclusivamente a un compito così gravoso, dal candidato premier dell’alleanza progressista”. E quasi tutti i dirigenti più autorevoli aggiungono il loro tassello nella prefigurazione della nuova possibile alleanza interna.

A partire da Pier Luigi Bersani, che ha spiegato come “il Pd non sia un semplice partito, ma la proposta controcorrente di un altro assetto politico. Duraturo, aperto, flessibile. Non personalistico, debole, frammentato come una bad company”. Ma allora, si chiede l’ex leader, perché spendiamo tutto il nostro tempo nel celebrare primarie per eleggere un mare di persone a cariche interne e per designare i candidati a funzioni pubbliche?” Un colpo durissimo inferto all’istituto che ha proiettato Renzi nel palcoscenico nazionale.

Argomenti polemici ripresi con forza dal cattolico Fioroni: “Bisogna capire se il modello di partito che vogliamo rilanciare è quello del binomio Davide Serra-Flavio Briatore, di chi magari viene di notte e finanzia il Pd di nascosto, oppure se esso deve fondarsi sulle donazioni volontarie dei militanti e dei partecipanti alle nostre feste e alle nostre iniziative politiche”. E rilanciati dall’editorialista Massimo Mucchetti (qui le foto di ieri ospite di Aperithink), che ha accusato Renzi di sudditanza verso un “thatcherismo riverniciato in salsa italiana, in un Paese privo di una City finanziaria”, e lo accosta a Tony Blair. Con una differenza rilevante: “L’ex premier laburista sfidò e ammansì le Trade Unions conservandone l’appoggio. Il primo cittadino di Firenze parte da una realtà in cui non esistono più i grandi soggetti industriali svenduti e smembrati dalle privatizzazioni dei primi anni Novanta”.

Il dissenso di Franceschini e l’allarme di Reichlin
Tesi che però incontrano un punto di vista critico nelle parole di Dario Franceschini, persuaso che “non è possibile promuovere regole concepite per danneggiare Matteo Renzi, figura e risorsa fondamentale del Pd da coinvolgere in un percorso condiviso e non da logorare come avvenuto a tutti i leader del centro-sinistra”. Un processo tanto più necessario, rimarca il ministro per i rapporti con il Parlamento, per una formazione che “non può dilaniarsi per mesi in diatribe logoranti, bensì difendere la logica originaria del rimescolamento di culture ed esperienze diverse. Oggi siamo giunti a dividerci e a riconoscerci in comunisti e democristiani anziché riscoprire le ragioni del nostro stare insieme”.

Un’esortazione a focalizzare l’impegno sui contenuti di una moderna forza riformista, che riecheggia nell’intervento di Alfredo Reichlin, il più applaudito dalla platea: “Non sono qui per aggregarmi a un correntone contro Matteo Renzi. Ma per mettere in guardia dal pericolo allarmante che il Partito democratico non sia semplicemente una forza contendibile, bensì scalabile come un tram in cui può entrare chiunque”. A suscitare la preoccupazione dello storico dirigente del Pci è “l’assenza di analisi anche sulle recenti elezioni e di elaborazioni sul “tema, il motivo, l’ordine del giorno del Congresso dell’autunno, che resta una nebulosa”.


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