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L’estro di Bergoglio non muta le verità della Chiesa

Non è facile tirare le somme di una visita apostolica come quella che il Papa ha concluso ieri. Per Jorge Mario Bergoglio la GMG era una specie di grande esame generale. La prima volta da vescovo di Roma nel suo continente. La prima volta a confronto con i giovani. La prima volta a contatto mediatico con il mondo intero.

La maggiore difficoltà era riuscire a interpretare bene un evento cucito addosso a Giovanni Paolo II. Il Papa polacco era un comunicatore d’eccezione che aveva la sua forza nel rapporto mediatico. E anche Bergoglio ha voluto seguire la via del dialogo diretto e dell’incontro fisico con le masse. Il viaggio apostolico in Brasile è stato così un boom e ha consentito di misurare il seguito reale che la sua figura ispira nei popoli emergenti della terra. Uno stile franco che può rendere talvolta Francesco meno comprensibile di Ratzinger e di Woytila. In ogni caso, non bisogna restare disorientati, neanche davanti alle ultime dichiarazioni audaci sullo Ior e sui gay.

Il Papa ha sostenuto la centralità della famiglia, “base imprescindibile e insostituibile della società”; ha testimoniato, con la presenza di un disabile accanto a sé, il valore della vita e la condanna dell’aborto; ha riportato al centro della Chiesa la partecipazione dei fedeli, la motivazione dei giovani, il dovere che hanno tutti di edificare una civiltà cristiana. Il maggiore risultato è stato esibire questi principi e valori permanenti della fede cattolica, calandoli dall’altezza istituzionale di Benedetto XVI all’orizzonte semplice e popolare di Giovanni Paolo II, rimarcando così che la Chiesa non condanna nessuno, ma corregge e guida l’umanità.
Il mondo è completamente cambiato in quest’ultimo decennio. E se Wojtyla ha risvegliato nelle democrazie popolari l’orgoglio, schiacciato dall’impero sovietico e dalle violenze totalitarie del comunismo, ecco che Bergoglio si appropria adesso della ricchezza multiculturale del mondo latinoamericano.

Cogliendo questa svolta epocale, tre milioni di persone si sono affidati al Papa. Egli ha rivelato così di poter vincere la sfida contemporanea che viene da un presente in cui non ci sono più argini né barriere. Il relativismo richiede una reazione, una netta distinzione del bene dal male, ma anche una ricostruzione dell’idea di società che deve generare dall’interno, con il concorso di tutti. Il richiamo continuo all’esempio pratico, appunto, non annulla ma avvalora la verità di cui si è portatori.

Incontrando la classe dirigente del Brasile, al Teatro Municipale di Rio, ecco come Francesco si è espresso: “Il futuro esige di riabilitare la politica, che è una delle forme più alte della carità. Ma il comune sentire di un popolo si fonda e cresce solo su una visione integrale della persona umana”. Soltanto, infatti, da un chiaro impianto di valori umani è possibile che possano formarsi le identità dei popoli nella frammentazione delle nostre società. Insomma, occorre prendere atto che attualmente mancano le comunità, fatte di sentimenti e di condivisioni profonde, e capire che la Chiesa può ritrovare la propria funzione apostolica essenziale, facendosi conoscere e seguire dalla gente.

Perciò Francesco chiama tutti a uscire dalla torre d’avorio delle lobbie e delle appartenenze di comodo, facendosi carico responsabilmente dei problemi del prossimo. Egli può farlo, esponendosi perfino al rischio di apparire concessivo al sentire comune, perché, dietro le spalle, a garantire la verità vi è l’immutabile tradizione della Chiesa, e non la sola capacità comunicativa di una persona.

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