Ci siamo quasi con il DDL lobby. Questione di ore, forse minuti. Alle anticipazioni date ieri (Qui) ne possiamo aggiungere qualcuna in più. Eccole qui (le più importanti e tutte da prendere con il beneficio d’inventario, dal momento che il testo cambia in corsa e le modifiche sono sempre possibili, compresa l’ipotesi di nuova sparizione dai radar):
– sulle finalità c’è poco da dire. Sono le solite: trasparenza dei processi decisionali pubblici, partecipazione agli stessi dei portatori di interessi particolari, pluralismo democratico, pubblicità e conoscibilità dei processi decisionali, oltre all’efficacia funzionale (tradotto dal giuridichese: la garanzia per le istituzioni di avere una più ampia base informativa sulla base della quale decidere).
– Stato e Regioni: la legge si applica allo Stato. Per le Regioni ci si limita a dire che “ne assicurano l’attuazione con regolamento”. Una rinuncia a intervenire sul territorio? Vedremo. Per ora resta quello che è già: “di nessuno”.
– anche le definizioni sono le stesse: i portatori di interessi particolari, e cioè i lobbisti, che svolgono la loro attività “professionalmente” (e cioè in modo sistematico ed abituale, anche se non esclusivo, dell’attività di rappresentanza di interessi. Mi domando: ma perché esistono i lobbisti “mordi e fuggi”?). I decisori pubblici: tra questi il Presidente del Consiglio dei Ministri, i Ministri, i Vice Ministri, i Sottosegretari di Stato, i vertici degli uffici di diretta collaborazione dei Ministri, dei Vice Ministri e dei Sottosegretari di Stato, i direttori generali. Depennati invece i membri del Parlamento, i collaboratori parlamentari e i consiglieri parlamentari. In sostanza al Parlamento continuano a fare come vogliono. Amministrazione, infine, indica tutte le amministrazioni dello Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, le Autorità indipendenti e gli enti pubblici economici e non economici. Spariscono, depennate, Camera e Senato.
– la CIVIT – e non, come temevano alcuni, l’Antitrust, prende le redini del settore.
Il Registro – sembrerebbe a iscrizione obbligatoria dal momento che si parla di “essere tenuti a”. I dati vanno in chiaro sul sito della Civit. Già, ma quali dati? Quelli anagrafici e professionali; quelli del committente; quelli dell’interesse rappresentato; e quelli delle risorse usate (gli unici davvero interessanti). L’aggiornamento è periodico (ogni anno, a fine luglio).
– I requisiti: maggiore età, fedina penale pulita, nessun fallimento alle spalle negli ultimi 5 anni (condizione incomprensibile che riflette la mentalità italiana che si ostina a punire il fallito).
– porte girevoli – questo era uno dei dati già ampiamente diffusi dalla stampa. Per due anni dopo che hai svolto un mandato pubblico non puoi iscriverti al registro. Nè puoi farlo se sei dirigente di partito, se sei movimento, partito o sindacato, o se sei giornalista pubblicista e professionista (a meno che non rinunci a scrivere durante il periodo di iscrizione. Il che è anche giusto, altrimenti avresti accesso a informazioni privilegiate. Che poi passi le informazioni al collega non iscritto è un altro paio di maniche).
– i diritti: anche qui nessuna grande novità. Puoi presentare i tuoi appuntini al decisore, puoi accedere ai palazzi del potere munito di apposito tesserino, puoi chiedere di essere ascoltato prima che l’Amministrazione decida.
– relazione annuale della Civit: alla fine dell’anno, e va a Senato e Camera.
– come consultano le amministrazioni: lo sapremo (entro) 90 giorni dopo l’entrata in vigore della legge. Quindi c’è tempo. Anche qui il regolamento non vale per Camera e Senato.
– Codice etico: c’è il codice, è una buona notizia (sempre se confermata).
Chiudono le norme sulle eccezioni (quelle solite e plausibili: gli atti coperti da segreto, quelli che sono già oggetto di consultazione pubblica, quelli degli esponenti religiosi, ecc.) e quelle sulle sanzioni. Anche qui andiamo sul classico: richiamo, censura, sospensione come antipasto. Primo piatto è la cancellazione dall’elenco. Secondo piatto le sanzioni pecuniarie (con importi variabili). La competenza sulle contestazioni spetta al giudice amministrativo.
Si dice che a voler fare gli originali a tutti i costi si sbaglia. E che serve cautela. Il testo è perfettamente allineato a questa filosofia. Chi si aspettava (e sbagliava a sperare) grosse sorprese resterà deluso. Il testo è una fotocopia più o meno fedele di quello elaborato a suo tempo da Vedrò e ripreso da tanti DDL che siedono in Parlamento.
La battaglia inizia ora, in Parlamento. Cominciamo pure a preoccuparci. E buona fortuna.