Che alla fine il problema sia la truppa e non il comandante? Il renziano Matteo Richetti lo dice a chiare lettere, un attimo dopo del voto al Senato (dove il gruppo Pd ha detto no alla mozione di sfiducia ad Alfano) e si mostra incredulo. Anche perché i senatori vicini al sindaco di Firenze si sono spaccati a metà, polverizzati di fronte a un passo che, invece, sarebbe dovuto essere unitario e deciso. “Ma come si fa? – ammette Richetti in una intervista alla Stampa – È un doppio sbaglio e queste cose fanno male per prima cosa al Pd e poi anche a Matteo. Da non credere…”
La spaccatura
Se da un lato le intenzioni erano quelle di pungolare il Pd a presentare un documento contro Angelino Alfano, dall’altro il risultato finale è stato diametralmente opposto: componente renziana divisa, mozione non accolta e titolare del Viminale salvo. Ma per quali ragioni la tattica renziana non ha prodotto il risultato atteso? Richetti ragiona sul fatto che il documento è stato percepito come un attacco al Premier: si annida lì il primo errore di strategia. In questo si “allinea” al richiamo vergato ieri dal Colle in occasione della cerimonia del Ventaglio, con un aut aut tanto duro quanto preciso: garantire stabilità al paese in una fase così delicata, dice il Colle. Anche perché i problemi sul tappeto restano drammaticamente gli stessi e senza risposte: il pagamento dei debito della Pubblica Amministrazione, il nodo della pressione fiscale, gli 80 miliardi annui di interessi che l’Italia paga sul proprio debito pubblico.
Caso kazako
E allora? Su un punto Richetti mostra sicurezza: il ruolo di Alfano. La vulgata, non solo tra i renziani di stretta osservanza, è che la versione del ministro dell’Interno non abbia convinto, ma “non si può far finta di non capire che un voto di sfiducia a lui vorrebbe dire chiudere con l’esperienza di questo governo”. Ecco quindi farsi largo il vero nodo intrecciatosi ancor di più nella lunga giornata di ieri, culminata con il sindaco di Firenze che intervistato da Enrico Mentana su La7 dice di essere deluso, ma di non voler mollare, anche perché il governo si logora da sè.
Le parole di Renzi
“Una mia caratteristica è che non mollo. Non faccio la foglia di fico. Mi mandano solo in campagna elettorale, se ce l’hanno con me forse ho sbagliato io. Ma se c’è una caratteristica che non ho è mollare, non mollo. Non so che regole faranno. Ma devono stare tranquilli. L’idea che io faccia la foglia di fico, che faccio campagna elettorale e poi governano loro non funziona”.
Colle parla perché Palazzo della Signoria intenda?
Può darsi. Ma è il dato sui renziani a diventare un punto di domanda in questa fase: un errore andare in ordine sparso e dividersi poi alla meta, certifica Richetti. “Se si fa una battaglia la si fa fino in fondo, come la stiamo facendo noi alla Camera sul finanziamento pubblico dove stiamo ottenendo risultati precisi. Proprio perché il Pd non fa altro che attaccare Renzi e attribuirgli la responsabilità di voler far cadere il governo, dobbiamo scacciare da noi ogni minimo sospetto. Noi siamo quelli che, come dice Matteo, vogliono stimolare il governo a fare cose utili per i problemi del paese. Non vogliamo che questo governo cada precipitando il paese in un’instabilità totale”.
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