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Obama e Abe stanno preparando la tempesta finanziaria perfetta. Parla Savona

La politica monetaria espansiva e gli stimoli fiscali promossi dal primo ministro giapponese Shinzo Abe capovolgono i paradigmi dell’austerity egemone nel Vecchio Continente. E sembrano produrre effetti tangibili nel breve termine, visto che quasi tutti gli indicatori macro-economici confermano la ritrovata vitalità del tessuto produttivo e l’uscita del Sol Levante da un ventennale letargo fatto di contrazione dei consumi, stagnazione dei prezzi, rassegnazione al declino. Tratti che oggi contraddistinguono il panorama psicologico e sociale europeo. È allora possibile e auspicabile l’adozione delle “Abenomics” per promuovere lo shock salutare e la scossa necessaria all’economia dell’Ue e favorire la rinascita di un gigante prigioniero dell’incubo recessione? Formiche.net ha rivolto l’interrogativo a Paolo Savona, professore emerito di Politica economica e presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi, già direttore generale di Confindustria al tempo della presidenza di Guido Carli e responsabile delle attività produttive nel governo di Carlo Azeglio Ciampi.

Come valuta la politica economica di Shinzo Abe dal punto di vista monetario?

Negativamente per due motivi. Perché anche il Giappone procede per conto proprio aggravando le conseguenze dell’assenza di cooperazione internazionale in una fase che ne richiederebbe di più. E perché invece di far funzionare il mercato interno liberalizzandolo, ha rafforzato la politica, monetaria e fiscale, allontanandosi dalla soluzione dei suoi pluridecennali problemi. Gli effetti di breve periodo che va ottenendo sul fronte dello sviluppo imprimeranno un nuovo ciclo negativo destinato a ricadere sul Sol Levante e sull’Europa.

La politica fortemente espansiva promossa da Abe, unita all’aumento della spesa pubblica e del deficit, non rischia di creare l’ennesima bolla finanziaria e uno sviluppo economico “drogato”?

Condivido la tesi secondo cui il Giappone, con gli Stati Uniti, sta preparando la “tempesta finanziaria perfetta”, ossia quella che distruggerà i risparmi della povera gente e altri posti di lavoro, accrescendo i rischi per la pace nel mondo. I paesi ex emergenti, come la Cina, sottovalutano questo rischio e fanno ben poco per attenuarlo. I membri di G8 e G20 continuano a dichiarare che le cose vanno bene così, che vanno facendo quanto necessario e che i paesi deboli “devono fare le riforme”.

È possibile e auspicabile adottare nella Ue e nell’area euro le misure messe in campo dal governo di Tokyo?

È auspicabile perché, come mi ha insegnato Guido Carli, bisogna sempre stare con il Paese “più discolo” per evitare di essere gli unici a pagarne le conseguenze senza raccogliere i vantaggi di breve periodo che queste politiche consentono. Soprattutto per la politica monetaria europea, che ha subito gli effetti delle strategie accomodanti della Federal Reserve e della Bank of Japan accettando il paradosso che chi cresce ha un cambio debole e chi non cresce ha un cambio forte. La BCE si giustifica affermando che non ha i poteri di intervento sul cambio. La risposta è farseli riconoscere. Il fatto che mantenga, anche se di poco, tassi di interesse elevati attrae movimenti di capitale speculativo che innalzano il valore dell’euro, scoraggiando le esportazioni comunitarie. La Germania poi insegue il mito della valuta forte di cui per prima non beneficia, nascondendone gli effetti perché compensa la perdita di esportazioni verso l’esterno dell’Eurozona con maggiori esportazioni verso l’interno. Per i Paesi deboli invece la moneta unica è sopravvalutata, come testimoniano i loro saldi negativi della bilancia estera.

Pensa che l’adozione delle “Abenomics” provocherebbe uno shock salutare e immediato per la ripresa produttiva del Vecchio Continente e della sua economia stagnante?

Innanzitutto allontanerebbe gli effetti del credit crunch e il rischio di crisi bancarie legate alle sofferenze provocate dalla bassa crescita. La Fed ha acquistato l’equivalente delle nostre cartelle fondiarie, rilanciando l’attività edilizia, consentendo la rielezione di Barack Obama, riportando il valore degli asset del settore ai livelli pre-crisi, evitando il perpetuarsi delle difficoltà delle banche. L’Unione Europea ama invece scherzare con il fuoco e mantiene il settore in crisi. Si produrrebbe dunque uno shock salutare e immediato, rendendo più agevoli le riforme. L’opposto di quanto si va facendo ora.

Perché allora nessuno le prende seriamente in considerazione?

Per la miopia della Germania e di pochi altri Paesi dell’Eurozona. Mantengono l’Ue in condizioni di grave crisi che può sfociare in una sua deflagrazione con conseguenze nefaste per le relazioni internazionali. Il contenzioso mondiale che nascerebbe da un’esplosione della moneta unica sarebbe ingovernabile per tutti e soprattutto per l’Italia. Perciò è necessario avere nel cassetto un piano B.

Per l’Italia però l’attuazione nell’Ue del pacchetto di stimoli messi in campo in Giappone potrebbe costituire un alibi fuorviante per non affrontare i suoi problemi storici: spesa pubblica abnorme, apparato statale elefantiaco e presenza massiccia della politica nell’economia, debito pubblico intollerabile. 

No, assolutamente no. Agevolerebbe semmai la soluzione dei “problemi storici” che la crisi va aggravando. Naturalmente occorre spiegare agli elettori il nesso tra crescita e superamento dei ritardi irrisolti, a partire dal peso enorme del settore pubblico. Ragion per cui non si può affidare il governo a chi ha creato tale situazione. Non sarebbe credibile rivolgersi all’opinione pubblica dicendo che l’Europa, questa Europa, è l’unico avvenire del paese: tesi che nella mente del cittadino comune è ormai considerata una bugia. Pertanto occorrono un nuovo gruppo dirigente e nuove idee.



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