Nell’autunno 2012 Matteo Renzi aveva lanciato l’assalto alla nomenclatura del Partito democratico sollevando la bandiera di una liberismo progressista alternativo allo statalismo, al dirigismo e al culto della spesa pubblica che permeava il Nazareno a guida Bersani.
Oggi che le sue chance di vittoria sembrano non incontrare ostacoli, il programma del sindaco di Firenze si proietta in un orizzonte neo-laburista. Consapevole che la prospettiva di una sinistra liberale clintoniana non gli garantirà mai l’adesione del suo partito, il primo cittadino del capoluogo toscano sceglie di abbracciare lo spettro più ampio possibile di ricette.
Ma l’elasticità e il pragmatismo che ne vanno connotando il profilo possono costituire un fardello nella realizzazione dell’originario messaggio di rottura. A partire dalla realtà economico-sociale, su cui è utile leggere “Oltre la rottamazione. Nessun giorno è sbagliato per provare a cambiare”, e il documento “Il rilancio parte da sinistra. Come fare ridere i poveri senza fare piangere i ricchi”, concepito dal parlamentare democrat Itzhak Yoram Gutgeld, testa pensante della “Matteonomics”.
Un programma più labour che liberale
Analizzando i due testi, si può capire la “riconversione a sinistra” di un progetto volto a riaffermare l’equità sociale e la redistribuzione delle risorse in un’ottica di efficienza e modernità. Perché se le 54 slide del documento Gutgeld ripropongono le priorità enunciate dal primo cittadino di Firenze nelle sfortunate primarie 2012 – riduzione della pressione fiscale, taglio e riqualificazione della spesa pubblica, nuovo modello di produttività e riorganizzazione del Welfare – è diverso il modo di declinarle. Capovolgendo il manifesto di Rifondazione comunista del 2006 (“Anche i ricchi piangano”), il deputato-economista rivendica la comprensione e denuncia della profonda iniquità sociale che le trentennali politiche neo-liberiste hanno prodotto”. Premessa all’iniziativa di una sinistra capace di “rilanciare le conquiste dello Stato sociale e di non temere parole quali flessibilità buona e produttività. Con il coraggio di promuovere l’abbassamento delle tasse sul rafforzamento della fedeltà fiscale”, tradizionale bandiera dell’universo progressista.
Riduzione della pressione fiscale
La stella polare è “ridurre il raggio d’azione delle amministrazioni pubbliche affinché svolgano meno mansioni in modo soddisfacente e riconoscano ai cittadini più libertà di organizzarsi e investire le loro risorse”. La parola d’ordine è “semplificare il fisco innanzitutto per le aziende, che alla fine di ogni anno devono conoscere con un clic o una telefonata l’ammontare dei tributi senza il timore e il ricatto di controlli e ispezioni fonte di incertezza finanziaria per l’Erario e di gioia per burocrati e tributaristi”. Su tali premesse “il Partito democratico deve liberarsi dalla logica per cui le tasse sono bellissime, poiché è intollerabile che il giorno di liberazione fiscale sia compreso tra il 25 giugno e il 22 luglio”. Una logica perversa e presuntuosa che “ha portato il Pd a liquidare la campagna del Cavaliere sull’abrogazione e restituzione dell’IMU con sorrisi supponenti”. Ma l’oppressione tributaria “non riguarda un’imposizione che esiste in tutto il mondo ed è legittima in un paese con l’81 per cento di proprietari di abitazione”. Il problema – rimarca Renzi – è più ampio e tocca la necessità di affermare che abbassare le tasse è l’unica via per assicurare più equità sociale. L’obiettivo prioritario si chiama riduzione dell’IRPEF, all’insegna del motto di “ridurre i tributi per chi lavora molto e guadagna poco”. Abbassamento che per Gutgeld va promosso subito sulle fasce medio-basse, nella misura di 50 euro mensili per tutti i lavoratori dipendenti con retribuzioni annue inferiori a 30mila euro. “La copertura finanziaria si può trovare mettendo sul mercato le case popolari, il cui valore è pari a 30 miliardi, o utilizzando Cassa depositi e prestiti. A partire dal 2014 queste misure straordinarie saranno sostituite dal gettito fiscale frutto della lotta all’evasione fiscale e potrebbero aumentare a 100 euro mensili se il recupero delle tasse non pagate toccasse i 35 miliardi”. Le ricadute positive dell’operazione in termini di PIL ammonterebbero a 0,5 punti percentuali annui, 10 miliardi di euro, provocati dalla crescita dei consumi. Se nei contenuti la proposta presenta grandi affinità con la maggioranza del Pd, le strade per tradurla in realtà la avvicinano alle promesse reiterate dal centro-destra.
Taglio della spesa pubblica
La cornice in cui è pensabile un intervento sulle tasse risiede in un “un forte rilancio della spending review, in grado di ridurre la spesa pubblica per gli interessi sul debito, cresciuta di 6 punti dal 2000 al 2011 contro gli 0,9 della Germania”. Ma per disegnare i contorni di un Welfare più moderno e giusto, è necessario partire dai grandi capitoli di uscite. A cominciare dal comparto più oneroso: “500mila pensionati percepiscono con il metodo retributivo più di sette volte la pensione minima per un costo complessivo di oltre 32 miliardi annui. Bloccando l’adeguamento al tasso di inflazione per gli assegni che superano fra tre e più di sette volte il livello più basso, si risparmierebbero 3 miliardi il primo anno e 3,8 miliardi dal terzo anno in poi”. Gli altri interventi toccherebbero le Rc auto per risparmi di 4 miliardi di euro all’anno, un piano per evitare inefficienze nella sanità del valore di 10 miliardi, la riduzione e accorpamento delle prefetture a 20-30 presidi sul territorio. E lo stop ai finanziamenti pubblici a pioggia per le imprese, 32 miliardi di euro annui, per puntare su investimenti selettivi dei comparti più promettenti e dinamici”
Banche, industrie, servizi e opere pubbliche
Imperativo che guida la campagna di Renzi e che potrebbe garantirgli l’adesione dei cittadini attratti dal messaggio dei Cinque Stelle, è rompere il rapporto malsano tra politica e banche, emblema di “un’élite ristretta in cui chi tiene i cordoni della borsa controlla gli organi di informazione e le assicurazioni tramite partecipazioni incrociate irrisorie. È grazie alle relazioni tra istituti di credito e fondazioni legate alle istituzioni politiche locali che le banche non scommettono sull’economia reale”. L’altra zavorra che a giudizio del sindaco di Firenze impedisce all’Italia di spiccare il volo è la dicotomia tra industria tradizionale e realtà dei servizi, della cultura, del turismo, dell’ambiente, dell’agricoltura. Verso cui devono essere orientati “gli investimenti privati attraverso regimi fiscali vantaggiosi e le poche risorse pubbliche a disposizione, rinunciando alle opere ciclopiche inutili e costose come la TAV. Meglio puntare sulla manutenzione di scuole e strade, che creano posti di lavoro più stabili”.