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Vi spiego come sconfiggere la Repubblica delle Procure

Ha subito un colpo chi voleva far saltare con il governo di unità nazionale l’estrema occasione di riformare uno Stato in evidente deficit di sovranità nazionale e popolare. Ma è ancora attiva la “testa del serpente” di questa linea espressa primariamente dal quotidiano La Repubblica che, sia per gli interessi rappresentati – innanzitutto quelli di un Carlo De Benedetti mai riuscito a entrare veramente nell’establishment – sia per il pubblico chic-qualunquisticamente radicaleggiante costruito negli anni, punta le sue carte solo sulla destabilizzazione dell’Italia. E siccome la “testa” ha dietro di sé un corposo insieme di forze nazionali e straniere, la partita è ancora ben aperta.

L’unico modo serio per affrontarla è avere il coraggio della verità, guardare alla triste realtà che emerge dal pasticcio kazako senza illusioni che si sia di fronte a un caso isolato o comunque facilmente superabile. La recente vicenda sarà stata anche un “caso inaudito” ma certamente richiama tanti episodi degli ultimi anni: da quello minore dello schiaffo che ci ha dato il Brasile nel caso Battisti allo sbandamento del Sismi via giudiziaria che ha comportato una buona razione di morti italiani in Afghanistan (ahimé i servizi efficienti servono anche a questo: a salvare i nostri compatrioti all’estero), ai sorrisini di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, alle incredibili vicende dei nostri due marò in India aggravate dall’inconsistenza del governo Monti (per mesi siamo stati senza un vero ministro degli Esteri e senza un vero capo della polizia) e dalla leggerezza di Pierluigi Bersani (naturalmente sostenuto da La Repubblica) nel dopo voto. Aggiungiamo poi i guai di due delle nostre migliori industrie (Eni e Finmeccanica) perseguitate all’estero grazie a una magistratura che alimenta gli scandali a “prescindere” dalla concreta azione giudiziaria susseguente (come sono finiti i linciati Guarguaglini e Orsi?).

Questo è il contesto del più o meno inaudito pasticcio kazako. Chi parla di “responsabilità della politica” dovrebbe avere la minima dignità di ricostruire quel che è avvenuto (e nel caso del quotidiano La Repubblica di rivendicare il proprio contributo al disastro). Aspetti cosi anomali nel pasticcio kazako sono comprensibili solo dentro questo scenario: con forze dello Stato mosse da un encomiabile senso degli interessi nazionali (è evidente come dietro al “pasticcio” vi siano pure manovre internazionali che tendono a spiazzare le nostre imprese radicate da una lunga storia di cui fanno parte Enrico Mattei ma anche Romano Prodi e Silvio Berlusconi) gestito in modo che ha aspetti ributtanti (si consideri solo le sorti di una bimba di sei anni) o imbarazzanti (certe accondiscendenze alle richieste kazake). Ma è evidente il meccanismo principale che ha mosso funzionari che vogliono difendere il proprio Paese ma sanno come la politica non li possa proteggere (e questo lo hanno capito puramente considerando le varie vicende di Nicolò Pollari, Eni e Finmeccanica). Ormai si è ampiamente compreso come la protezione della responsabilità politica non solo sia inutile ma anche pericolosa. Basta invece avere i timbri della magistratura per evitare  – se non grane politiche e professionali– galera e linciaggi.

E’ questo l’insegnamento che peraltro esce con nettezza dalle vicende dei migliori ufficiali dei carabinieri, quelli allevati da un eroe della Repubblica come Carlo Alberto Dalla Chiesa, che per avere difeso con Mario Mori e Giampaolo Ganzer gli interessi dello Stato senza accucciarsi di fronte alle fazioni di varie procure sono stati triturati da infiniti travagli. Il punto non è quello dell’impunità ma quello della responsabilità politica: un servitore dello Stato che agisce per la sicurezza della sua nazione ha diritto a essere affiancato (magari rimosso ma non “trascurato”) innanzi tutto dalle istituzioni che a più alto livello rappresentano la sovranità popolare (e certamente non con misere iniziative come quelle prese da Giuseppe Pisanu). Se invece si assiste alla condanna in due gradi di giudizio a pene di oltre dieci anni al migliore ufficiale impegnato nella lotta al crimine, senza assumere alcuna scelta né in un senso né in un altro, allora il concetto stesso di “responsabilità politica” evaporerà, come è avvenuto.

Ora si tratta di tirare le conseguenze di questa storia in corso innanzi tutto dal ‘92: o si fa un passo deciso verso una Repubblica delle Procure della Repubblica, si conferisce “tutto il potere” ai pm, si installa una sorta di Consiglio dei Dieci come fece la Serenissima (con due avvertenze: Venezia privilegiando la repressione rispetto alla politica avviò il suo percorso verso la decadenza, e comunque peraltro dogi e mercanti fecero quella scelta per difendere la Repubblica dalle interferenze straniere, mentre oggi lo strapotere dei pm è il primo varco per “le interferenze”); o approfittando anche del pur non fortissimo governo di unità nazionale si fa un passo deciso nel riconquistare una (pur relativa) sovranità nazionale ben radicata sulla (pur regolata e limitata costituzionalmente) sovranità popolare.


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