Speciale di Formiche.net a tre anni dalla scomparsa di Francesco Cossiga
L’intervento del presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa” Giancarlo Elia Valori
“I sardi sono italiani per scelta, non per nascita”. Occorre partire dalle radici familiari e regionali (si ricordi che fu lui a proporre una Legge che nel 2002 doveva dar forma e inizio alla Nazione Sarda) per capire la formazione politica e culturale di Francesco Cossiga.
Sul suo feretro, non certo a caso, verrà posta la bandiera con i “Quattro Mori” mentre la gloriosa Brigata Sassari, i dimonios, canteranno la loro straordinaria, epica, marcia portando a spalla la bara del loro grande sostenitore. Come accadde con il laico Emilio Lussu, peraltro.
Educazione e giovinezza
Il padre lo manderà “dai preti”, che sono, secondo Cossiga senior, “sempre meglio dei fascisti” ed è lì che il futuro Presidente Emerito troverà la sua prima formazione non solo religiosa, ma politica, nelle parrocchie di Sassari, ma senza dimenticare la forte tradizione liberale, massonica, repubblicana che gli avevano trasmesso il padre e lo zio materno.
Molti, a Sassari, in quegli anni, erano entrati in Loggia per parlare liberamente contro il Regime, ma certo la Fratellanza era presente, in Sardegna, come asse identitario forte della borghesia locale.
Paradosso, la formazione cattolica in una famiglia laica? Tutt’altro: se è vero che è proprio la contraddizione il primo apparire della Verità nella sua completezza, la doppia dinamica della formazione di Francesco Cossiga è il segno della compresenza in lui della interezza piena della tradizione politica italiana: il laicismo, spesso massonico, del Risorgimento e delle prime classi dirigenti unitarie e la forte presenza del mondo cattolico non solo nelle masse popolari, ma anche in molta parte del ceto medio e dei dirigenti che poi prenderanno in mano l’Italia dopo lo sfacelo innominabile della Seconda Guerra Mondiale.
Un balente della politica
Una unità tra popolo e credo cattolico, e unione, più di quanto non si dica oggi, tra classi dirigenti e masse subalterne che poi Francesco Cossiga rappresenterà pienamente nella sua lunga storia politica. Nessun snobismo radical chic in una figura come Cossiga, che si vantava apertamente delle sue origini da “pastori e da briganti” balenti, legati alla parola data come a un patto di sangue.
Il suo franc parler era quello, inframmezzato di silenzi forti e espliciti più di tante parole, proprio del balente, dell’uomo che si fa rispettare per quel che è, non per l’autorità di un terzo o per quello che si rappresenta idealmente. Quanti pochi balenti, oggi, tra i politici!
Ma c’era anche un senso forte delle “piccole patrie”, dalla Catalogna alla vicina Corsica (Cossiga vuole proprio dire “Corsica” in sardo) fino alla simpatia per i “ragazzi” baschi, simpatia che lo portò ad uno scontro epico con il premier spagnolo Josè Luis Aznar, o l’aperta stima per l’indipendentismo irlandese, paradossale in Francesco, leader tra i più filobritannici della Prima Repubblica italiana.
C’era in lui la percezione di una Europa che doveva ricostruire sé stessa anche in quelle “piccole patrie” che da secoli i nazionalismi maggiori avevano represso o emarginato? Probabile.
Il rapporto col fascismo e la lettura della storia
È anche questo anzi il senso specifico dell’antifascismo di Francesco Cossiga: il movimento dei Fasci di Piazza Sansepolcro del 1919 appariva allo storico Cossiga una interruzione violenta, e non solo nella prassi politica, di un processo di integrazione sociale e nazionale ben più omogeneo e multipolare di quanto oggi (sbagliando) non lo si ritenga.
Il Fascismo era, per Cossiga, come anche per uno dei suoi scrittori preferiti, Ennio Flaiano, il “ritorno del rimosso” gregario dell’Italia servo ostello, la negazione della tradizione manzoniana (Francesco portava sempre con sé, in viaggio, una copia dei “Promessi Sposi”) di una Italia civile e cattolica proprio in quanto Una e Libera.
Il Fascismo come nazionalismo ingenuo, privo poi di una politica mediterranea credibile, che tenta di unire le mire terrestri della Germania hitleriana, che vuole la Francia e poi la Russia sovietica, con il progetto retoricamente “italianissimo” di egemonizzare il Mare Nostrum, che al Terzo Reich interessava poco… ecco, se non si pone a mente che la politica, anche interna, di Francesco Cossiga era soprattutto una analisi attenta, sotto il segno dell’Italia e del suo solo interesse nazionale, della politica estera e di sicurezza, si capisce poco di Cossiga e dei suoi apparenti paradossi.
E tutta la storia recente del nostro Paese andava letta, secondo il Presidente Emerito, in termini di recupero di agibilità strategica e militare e di collegamento italiano con i valori occidentali, altro che lo “Strapaese” fascista, rappresentati da quelle nazioni che avevano ereditato lo spirito del nostro Umanesimo, del nostro Rinascimento, della nostra politica mediterranea. Anche il comunismo del PCI, per Francesco, era l’accettazione di un ruolo gregario dell’Italia nel Mediterraneo di una Europa sovietizzata e quindi periferica. Il Presidente Emerito sapeva benissimo, anche per esperienza diretta, che non era stato certo facile gestire l’asse mediterraneo dell’Alleanza Atlantica avendo in casa il maggior Partito Comunista dell’Occidente, diretto peraltro da suo cugino, Enrico Berlinguer…
Le scelte “di sinistra” e uno sguardo al presente
Ed è in questa direzione che dobbiamo leggere il nesso tra le scelte che oggi diremmo “di sinistra” che Cossiga compì in politica interna e la sua gestione, durante e dopo l’assassinio di Aldo Moro, delle strutture della Sicurezza Atlantica. Togliere al PCI, che pure se ne curava meno di quanto oggi non si creda, il monopolio del miglioramento delle condizioni di vita del popolo. Mostrare che la sicurezza atlantica era l’unico bastione per lo sviluppo della “società del benessere”, che suo cugino Berlinguer, con la tematica, una cattiva rilettura del modello economico di Sraffa, odiava, preferendogli la società dell’austerità. La lotta del PCI contro la “società dei consumi” sarà uno dei meccanismi che porterà quel partito alla crisi irreversibile del post-’89.
Oggi tutto ciò non sarebbe più possibile, sommare il bene dei “poveri” con la difesa nazionale, ma sono arrivati al potere globale i Grandi Popoli, molti dei quali ex- o neocomunisti, che stanno assorbendo la grande massa delle imprese manifatturiere euroamericane, e tra poco i Piccoli Popoli del Sud Est asiatico o dell’Africa, o dell’Islam delle “Primavere Arabe” entreranno nella globalizzazione, magari in ritardo e dalla porta di servizio. Ecco: si realizza oggi l’accerchiamento della penisola eurasiatica non per tramite di un attacco militare via terra da Est, come quello che l’URSS programmò tranquillamente fino al 1992, ma per mezzo di una sudditanza finanziaria, economica e produttiva verso Est, Sud e Sud-Est che renderà l’Europa civile, atlantica e modernizzatrice, cattolica, protestante e laica, la definitiva penisola secondaria dello Hearthland asiatico. Un Centro del Mondo in mano a forze apertamente nazionalistiche e che vogliono l’egemonia, non l’equilibrio e il “concerto” tra le Potenze.
Il rapporto con Israele
E viene subito in mente, qui, un altro punto fermo di Francesco Cossiga in politica estera, ovvero negli equilibri interni: il forte sostegno, mai venuto meno, alla politica di Israele. Un’altra “piccola patria”? Non proprio. Il Presidente Emerito sapeva benissimo che lo Stato Ebraico nasceva per due diritti, uno formale, la legittima indipendenza per la parte ebraica del Territorio della Partizione, confermato dall’ONU peraltro diminuito dalle pulsioni filoarabe di Churchill negli anni ’30, e che rispondeva peraltro alla legittima indipendenza della parte araba della Partizione stessa, e un diritto più profondo e assoluto, politico e morale insieme: la Patria Ebraica da costruire dopo la “notte della storia”, la Shoah.
Talvolta Cossiga ha cambiato idea sulla politica internazionale, basti pensare alla sua valutazione del fenomeno gollista, visto come una pericolosa frattura nel sistema atlantico, poi rivalutato come modello di “democrazia governante”, soprattutto dopo il joli Mai del 1968; ma mai, dico mai Francesco Cossiga ha dimenticato quanto l’equilibrio mediterraneo, la sicurezza atlantica e quella europea devono allo Stato Ebraico, fondato dal diritto ma, soprattutto, dal sacrificio supremo dei sei milioni di volti assassinati che vediamo allo Yad Vashem.
Ma, per Francesco, c’era di più, e questo plus non andava affatto disgiunto dalla forte attenzione che egli aveva per il mondo arabo e le sue tensioni, che leggeva, quasi marxisticamente, come il parto di un mondo nuovo e sconosciuto. Senza Israele, niente sicurezza mediterranea, senza stabilità nel Mare Nostrum nessuna proiezione di potenza efficace della Alleanza Atlantica, faro della nostra politica estera, per Cossiga e, senza copertura marittima del Mediterraneo nessuna sicurezza terrestre del Limes tra le due Germanie era del tutto affidabile. Non a caso la nostra “soglia di Gorizia” era vicinissima al Mare Adriatico, oggetto del desiderio confessato del Patto di Varsavia per chiudere l’Occidente europeo verso Est e il Medio Oriente.
Sostenere Israele per difendere tutto il free world ma Cossiga, uomo di sinistra e cristiano, lettore appassionato (altro suo livre de chevet in viaggio) di Blaise Pascal e perfino sostenitore, con l’allora cardinale Ratzinger, del ritiro della scomunica a Giansenio, il vescovo paraprotestante olandese della metà del seicento, vedeva in Israele l’esperimento di una Nuova Società, il “socialismo popolare” e spirituale (e pure nazionale, pur senza iattanza) del Kibbutz e del laburismo nuovo di Ben Gurion, di Ytzhak Rabin e di Shimon Peres. Una renovatio politica, sociale, religiosa che ricordava a Cossiga il cristianesimo delle rivolte sociali, come quella già ricordata di Miglioli, le “Brigate Verdi” della Resistenza lombardo-emiliana, la stessa Brigata Osoppo, dal cui nucleo operativo verrà fuori, all’inizio, una gran parte della Stay Behind, della “Gladio” italiana e atlantica.
Il distinguo tra morale privata e comportamento pubblico
Per il Presidente Emerito c’era un preciso limite tra morale privata e comportamento pubblico, tra la legge del cuore e la necessità razionale dello Statista.
Le sue posizioni sulla crisi della “Prima Repubblica”, che Cossiga leggerà, del tutto correttamente, destrutturata dalla fine della guerra fredda e dalla caduta del “Muro di Berlino”, sono un esempio preciso di questa separazione, diremmo giansenista, tra la Legge della Politica, che è ratio autonoma e oggettiva, e le pulsioni ideologiche, personalistiche, soggettiviste, irrazionali che oggi sembrano tener banco nel dibattito politico e sociale, a destra come a sinistra.
Per Francesco Cossiga, come per Benedetto Croce, non importa la morale soggettiva politico, come del chirurgo o dell’avvocato, ma la sua bravura (stavo per scrivere balentia) professionale. Nulla era più lontano da Francesco di questa “pappa del cuore” moralistica che oggi è il paradigma di ogni dibattito politico; né Cossiga poteva soffrire le ingenue costruzioni di una immagine del Leader a tavolino, senza che ci sia sotto la sostanza, caratteriale e culturale, dell’Uomo. Non si fanno classi dirigenti vere se non dopo una guerra, vinta o persa non importa.
Al Presidente Emerito avrebbe fatto orrore la biologizzazione della politica, che pure ha qualche fondamento nelle tensioni demografiche globali e nelle trasformazioni scientifiche di questi nostri anni; perché l’Atto Politico, altra memoria cossighiana del liberale Croce, è Atto della Volontà e della Ragione, e nasce dal puro calcolo dei rapporti di forza, non dai desideri delle anime belle, dietro le quali si nascondono, sempre, i Dulcamara che vendono la bottiglia di vino che per “tre lire”, cura tutti i mali, come nell’Elisir d’Amore di Donizetti.
Rapporti internazionali
Ecco il sostegno per un legame stabile con la Germania del Cancelliere socialdemocratico Helmut Schimdt, che ha ricordato Cossiga con stima in un suo recente libro di memorie, e lì si trattava di ricostruire l’Alleanza Atlantica dopo l’Eurocomunismo e la crisi dei rapporti tra USA e UE, o la stima per un altro geniale statista che oggi sarebbe ritenuto “cinico”, François Mitterand, di cui Francesco apprezzava la capacità, che il presidente socialista aveva avuto, di inglobare prima e poi azzerare il PCF. Per non parlare della apertura di Cossiga alla Libia di Gheddafi e alla Tunisia di , assi della supremazia gaziera e petrolifera italiana nel Maghreb. Altri tempi, altra dimensione strategica dell’Italia in un Mediterraneo ben più favorevole a noi di quanto non accada oggi.
La politica è un gioco per adulti, che non ammette repliche né debolezze, la possono giocare solo gli appassionati lettori di Graham Greene, non i sedotti da James Bond che, come sosteneva Cossiga in una intervista a “La Repubblica”, sarebbe stato fermato da un semplice vigile urbano.
Ma occorre ricordarsi sempre che il gioco durissimo degli equilibri e dei rapporti di forza, bronzei come la “legge dei salari” ricardiana, non lo si può accettare se non si ha un progetto che riguarda la vecchia sequenza massonica: l’uomo, la nazione, l’Umanità.
Senza un progetto nobilissimo, per il quale si può e talvolta si deve dare la vita, non è lecito giocare alla politica, che esclude interessi di bottega, guadagni facili, piccoli, sempre e comunque piccoli, benefici di carriera. Oggi, allora, quanto e come ci manca Francesco Cossiga ve lo lascio immaginare.
Giancarlo Elia Valori
Presidente de “La Centrale Finanziaria Generale Spa”