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Quando perfino l’Autorità dell’Energia scivola sulla liberalizzazione dei mercati

energia smart

Nei giorni scorsi, i giornali hanno dato notizia dei risultati della relazione dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas (AEEG) sul mercato libero e sulle condizioni di vendita ai clienti di piccole dimensioni (famiglie e piccole imprese). Facile immaginare, come poi è avvenuto, che nell’ultimo sabato prima di Ferragosto i mezzi di stampa avrebbero dato ampio spazio ai risultati del rapporto. Che, nei commenti a caldo, in parte suffragati dai dati emersi nello studio, dimostrerebbe come di fatto la liberalizzazione dell’energia, almeno dal punto di vista dei consumatori, sia stata un fallimento. In particolare, sono balzati agli occhi degli osservatori i prezzi medi delle offerte sul mercato libero più alti delle condizioni tariffarie accordate a chi ha scelto di rimanere nel perimetro della tutela. Non si sa se per virtuosità dell’Autorità dell’energia, che fissa le tariffe per chi non ha optato per un fornitore alternativo ed è dunque tutelato, o per avidità delle imprese di vendita, che bastonano i clienti che osano avventurarsi nelle perigliose acque del mercato, fatto sta che chi ha scelto liberamente il proprio fornitore si sarebbe trovato a pagare una bolletta più alta in media del 12,8% (nel caso delle famiglie) e del 6,6% (nel caso delle imprese) nell’elettricità e del 2% nel gas (con un sovrapprezzo del 6% per consumi inferiori a 5.253,60 m3). Un risultato d’immagine apparentemente devastante per le imprese energetiche ma, ci permettiamo di dire, anche alla fin fine per chi, l’Autorità dell’energia elettrica e del gas, da più di dieci anni regola e vigila sul mercato libero. Ammesso che quei numeri, riportati con tanta enfasi dai mezzi di comunicazione, abbiano davvero il senso che gli è stato attribuito. Su questo, ma d’altronde è la stessa Autorità a prodursi nel rapporto in una moltitudine di caveat, ci permettiamo di avanzare molti dubbi.

In primo luogo l’analisi si riferisce a un solo anno, neppure il più recente (il 2011). Da un punto di vista statistico, siamo alla quasi irrilevanza. Tanto più che il campione di imprese, di cui vengono prese in esame le offerte sul mercato libero, non appare sempre rappresentativo. In termini di volumi sul totale del mercato libero, il campione tiene conto infatti per l’elettricità del 78% delle forniture al domestico e del 52% dei consumi non domestici, per il gas del 52% del domestico, del 21% dei condomini e del 15% del settore commercio e servizi. Ma quel che fa storcere gli occhi a chiunque abbia una vaga idea delle metodologie di campionamento è che nel gas, per esplicita ammissione dell’Autorità, “sono stati inclusi nel campione gli operatori che apparentemente risultano, dai dati a disposizione, aver applicato un prezzo medio sul mercato libero più alto rispetto a quello medio del servizio di tutela” (cit., p.14). In poche parole, se capiamo bene, l’Autorità ammette di aver selezionato un campione distorto della popolazione delle imprese di vendita. Tra l’altro, sempre per esplicita ammissione della stessa AEEG, le distorsioni non finiscono qui. Ad esempio, i consumatori presenti sul mercato libero consumano in media di più rispetto ai consumatori del tutelato (dunque appartengono a classi di consumo solo in parte sovrapponibili).

Inoltre, le offerte sono diverse tra loro (e rispetto alle condizioni di vendita nella tutela) e il confronto dei prezzi, con tutte le normalizzazioni del caso, che certamente l’Autorità avrà effettuato con la massima competenza, finisce per essere difficile se non impossibile. Pensiamo alle offerte di gran lunga più popolari sia nell’elettricità che nel gas, quelle fisse, che bloccano il prezzo per 12 o 24 mesi, o quelle “tutto compreso” che dividono il consumo previsto durante l’anno in rate uguali.  L’Autorità sostiene che, anche tenendo conto del superiore rischio di mercato sopportato dalle imprese per queste offerte, si giustificherebbero solo in parte le differenze di prezzo riscontrate tra mercato libero e servizio di tutela. Ma la base numerica per poterlo affermare è davvero troppo esigua ed eterogenea ed in ogni caso si riferisce a un solo anno, il 2011, peraltro caratterizzato da una estrema volatilità dei prezzi petroliferi (basti pensare che la quotazione del Brent passò da circa 75$ del settembre 2010 a circa 120$ nell’aprile 2011, per ridiscendere a poco più di 100$ verso la seconda metà dell’anno). Inoltre, non si può tenere conto solo dei risultati (per un solo anno), trascurando che le virtù della concorrenza sono soprattutto a monte, nel differenziare le offerte in funzione delle diverse preferenze dei consumatori.

Sempre l’Autorità correttamente sottolinea che il confronto è reso ulteriormente più complicato dai servizi aggiuntivi compresi in molte offerte sul mercato libero (es. programmi fedeltà, dispositivi per l’efficienza energetica, area dedicata nel sito del venditore) e non presenti nei servizi della tutela. Anche in questo caso l’Autorità afferma che solo in parte possono giustificarsi le differenze di prezzo riscontrate, anche se per sua esplicita ammissione è impossibile valorizzare economicamente i diversi servizi (e, aggiungiamo noi, quello che conta per il consumatore medio non necessariamente può valere per tutti).

Ma, anche qualora tutte le obiezioni precedenti fossero confutate nella realtà, rimarrebbero quelli che a mio avviso sono i due fattori principali che rendono il paragone tra i prezzi del mercato libero e le tariffe del servizio di tutela un esercizio poco significativo. Perché determinano una competizione impari tra le due modalità di vendita.

In primo luogo, in particolare per i clienti domestici (le famiglie), non c’è confronto tra l’ampiezza del mercato libero e quella del tutelato. In termini di volumi, l’83% del domestico elettrico e l’89% del domestico gas è fornito in regime di tutela. Stiamo dunque parlando di un residuo lasciato alla concorrenza tra operatori, con una miriade di imprese che non vanno oltre pochi punti percentuali, in pochissimi casi, o più spesso qualche misero decimale dei punti di prelievo. Con una perdita significativa di eventuali economie di scala o di scopo che nei servizi di vendita retail sono importanti (molto più che in aspetti più tecnici come gli ambiti territoriali della distribuzione gas, dove pure l’Autorità ha saputo argomentare la rilevanza delle economie di scala).    

Questo discorso si allaccia al secondo anello mancante dell’analisi AEEG. Per attrarre un cliente poco informato, come è peraltro naturale che sia un qualsiasi soggetto che si affaccia da poco sul mercato in un settore tradizionalmente popolato da pochi addetti ai lavori, è necessario investire molto nel marketing e nella rete commerciale. Non è un caso se, come rileva l’indagine GFK Eurisko, commissionata dall’AEEG, nel 2011 sul mercato elettrico il 39,3% dei contratti conclusi sono avvenuti tramite un agente commerciale, il 34,9% tramite call center e il 23,9% nei locali commerciali riferibili all’azienda di vendita, mentre nel gas le percentuali si distribuiscono diversamente tra i 3 canali (42,4% agenti commerciali, 37,7% locali commerciali e 17,3% call center) ma la somma di fatto non cambia.  E’ dunque vero che il consumatore è poco attivo, come afferma l’AEEG, ma questa condizione determina anche un costo più elevato per le aziende che vogliono davvero accendere la miccia della concorrenza sul mercato. Ma che per farlo devono scontrarsi con una bolletta decisa dall’Autorità che con tutta probabilità assume costi di commercializzazione inferiori rispetto a quelli veramente necessari, data proprio la scarsa consapevolezza dei consumatori domestici e la maggiore difficoltà di contatto, a fronte di minori ricavi attesi, rispetto alle altre tipologie di clientela. Di fatto, in questo caso la protezione del consumatore, attraverso il regime di tutela, rappresenta una protezione dello status quo e dunque un limite importante se non fondamentale alla concorrenza.

Un risultato già evidenziato spesso da imprese ma anche da esperti terzi. Che l’analisi dell’Autorità dell’energia, almeno così come è stata impostata, di fatto ribalta, non aiutando a superare quello che i confronti internazionali (da ultimo il Rapporto ACER del dicembre 2012) mettono in evidenza come un’anomalia dell’Italia, almeno tra i Paesi UE 15, ossia la presenza di prezzi amministrati ma soprattutto il fatto che questi coprano una percentuale di consumatori nettamente maggioritaria, almeno tra le famiglie e le piccole imprese. Senza restringere i confini strabordanti della tutela di prezzo, non sarà mai possibile rendere il mercato libero dell’energia in Italia competitivo quanto dovrebbe essere. E i rapporti di un’Autorità di solito seria come l’AEEG finiranno per alimentare un dibattito non serio e demagogico. Cioè il contrario di quanto servirebbe per rendere il mercato libero più maturo, a beneficio dei piccoli clienti.


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