Mentre la gran parte delle lenti degli osservatori italiani sono rivolte nella direzione di Arcore per conoscere gli esiti del Gran Consiglio, nelle diplomazie internazionali tutte le attenzioni sono rivolte al dossier Siria.
La denuncia delle opposizioni di Assad per cui il regime avrebbe impiegato l’uso di gas nervino per uccidere centinaia di civili innocenti ha scosso le coscienze dei governi. Il numero dei morti e la quantità delle atrocità non consente più il girarsi dall’altra parte. Fu proprio il presidente americano ad ammonire che se fosse stata superata la red line dell’impiego di armi chimiche l’intervento sarebbe stato inevitabile. Più facile a dirsi che a farsi. Per numerose ragioni.
Innanzitutto, se i gas sono stati usati davvero, chi li ha sparati: l’esercito lealista o la eterogenea coalizione che lo combatte? Non solo. Quale tipo di azione bisognerebbe intraprendere, con le forze di terra? E soprattutto questo intervento avrebbe l’egida delle Nazione Unite? Almeno su questo punto, è verosimile prevedere una risposta negativa mettendo nel conto il veto della Russia (almeno). Le incognite, più in generale, sono numerose e si può così spiegare l’indecisione di Obama (e del Pentagono).
La riunione alla Casa Bianca con i senior advisor delle relazioni internazionali è l’occasione per mettere in campo tutte le opzioni discutendole in chiave strategica. La soluzione del puzzle non è immediata ma Washington non farà trascorrere troppo tempo. Il presidente, dicono, è rimasto troppo sconvolto dalle immagini di morte provenienti dalla Siria per restare inerme.
Incredibile e imbarazzante è invece la divisione che sta emergendo nel Vecchio Continente, in quella che ci ostiniamo a chiamare senza sussulti di realismo Unione Europea. La Francia per bocca del suo ministro degli Esteri aveva preso una posizione fortissima e dal sapore non poco belligerante. Poche ore dopo la diffusione dell’accusa di uso delle armi chimiche, Fabius aveva invocato una risposta adeguata e quindi invocato l’intervento militare.
Naturalmente, tutti i commenti e le reazioni europei ai fatti siriani sono venute dai singoli Stati i quali naturalmente si sono espressi ciascuno con il proprio linguaggio. L’Italia con il ministro Bonino ha scelto il tono della preoccupazione e della prudenza, di fatto stemperando l’interventismo di Hollande. A mettere fine però all’ipocrita rappresentazione di una unitarietà europea nella politica estera ci ha pensato la cancelliera tedesca. Angela Merkel è contro un intervento militare in Siria e lo dice con chiarezza inequivoca: “Non seguiamo la strada di una soluzione militare”, ha dichiarato a Berlino il portavoce governativo, Steffen Seibert. “Non crediamo che sia possibile risolvere (il conflitto) dall’esterno, crediamo invece che debba essere trovata una soluzione politica”, ha detto. Poco prima la leader della Cdu (ora in campagna elettorale) aveva salutato l’appoggio della Russia a una commissione indipendente per accertare l’eventuale impiego di armi chimiche in Siria.
La cancelliera aveva anche sollecitato che venga garantito rapido accesso agli ispettori Onu nei luoghi teatro di un possibile uso di queste armi. Insomma, le geometrie variabili dell’Europa continuano a manifestarsi rendendo sin troppo evidente che i fatti di queste settimane non stanno solo facendo emergere nuove divisioni nei Paesi islamici ma anche (sigh!) nel cuore dell’Occidente.